Un primo sciopero generale

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Siamo in una situazione in cui nelle iniziative di lotta prevalgono i momenti particolare: tassisti, tir, ecc. Un tentativo di difendere posizioni, dove però manca l’obiettivo centrale. Ossia un governo espressione diretta del potere finanziario e delle banche, che persegue la distruzione di tutto ciò che si frappone al mito del libero mercato. Senza eccezioni. Non si possono risolvere problemi come questi o il carovita entro «trattative specifiche» con qualche sottosegretario. Si deve aprire un confronto di carattere generale, col governo.
È iniziato il confronto tra governo e sindacati sul mercato del lavoro. Che te ne sembra?
Che il problema vero sia il tentativo di restaurare il pieno controllo del capitale sul lavoro. Quando in una trattativa – che addirittura dovrebbe proseguire via web o mail – si parte affermando che «il costo del lavoro è insostenibile per le imprese», è evidente che si punta a destrutturare il mercato del lavoro. Non ci troviamo davanti a un presunto «necessario passaggio per favorire l’occupazione dei giovani» – come si dice nel 95% della stampa nazionale – ma al tentativo di distruggere un modello di relazioni industriali e di welfare attraverso l’eliminazione dei diritti.
Parli del contratto di ingresso?
Con tre anni «di prova» c’è il potere assoluto dell’impresa sul lavoratore: non potrà  sindacalizzarsi, accampare diritti, pretendere il rispetto dei ritmi, della sicurezza, del salario già  basso. Questo è il modello che hanno in mente e stanno realizzando.
Nei posti di lavoro, prevale ora la paura o la rabbia?
Al momento prevale la paura. E soprattuto una convinzione – indotta da chi governa tutta la comunicazione, dai giornali ai talk show – che «non c’è alternativa» a manovre di questo genere. O si rinuncia a parti fondamentali della propria condizione di lavoratore, oppure c’è il crack, il baratro, ecc. Mentre invece cerchiamo di far capire che tutti i «sacrifici» che ci vengono imposti vanno soltanto a ripagare gli interessi su un debito che meno «sovrano» di così non potrebbe essere, e che non è stato creato certo dai lavoratori.
Dove vi aspettate la partecipazione maggiore?
Stiamo lavorando per uno sciopero generale vero. Ovviamente, il settore dei trasporti pubblici locali è quello che dà  maggiore visibilità  alla riuscita di una mobilitazione. Ma stiamo riscontrando giorno dopo giorno una disponibilità  maggiore ovunque. È chiaro che in alcuni settori – nelle ferrovie, dove ora si può non applicare il contratto nazionale, o nel trasporto aereo – c’è un’urgenza più impellente. Là  dove si va alla privatizzazione dei servizi pubblici è facile prevedere un «modello Tav», con i privati che si buttano sulle tratte redditizie e dismettono quelle periferiche. Come fa Fs, già  ora. Nel pubblico impiego hanno bloccato gli adeguamenti salariali per un decennio; e ora scopriamo che, nell’art. 4 del decreto, il blocco viene revocato soltanto per i dirigenti, quelli da centinaia di migliaia di euro. E si licenziano Lsu che da decenni vanno avanti a 5-600 euro al mese. C’è una difficoltà  obiettiva, comunque, perchè spontaneamente non ci riorganizzare se non quando tocca direttamente a te.
I sindacati confederali stanno fermi, Fiom a parte; dall’altra il malcontento popolare rischia di incanalarsi verso derive «forconiane». C’è spazio per un movimento diverso?
Pensiamo che questo spazio ci sia e sia doveroso occuparlo, per dare una risposta generale a una trasformazione generale della società . Cgil, Cisl e Uil stanno in un cul-de-sac. Dovranno dire sì a ogni richiesta, mentre la materia sociale sfugge da tutte le parti e ha perso ogni nozione di rappresentanza generale. Proprio questa rappresentanza va invece riconquistata e ricostruita. Non ci sono scorciatoie di categoria. O si rovescia la situazione tutti insieme, o si viene sconfitti uno alla volta. Anche quando sembrano sospendere certe «riforme», passata la buriana, tornano all’attacco. Basta guardare la vicenda delle pensioni. 
Per questo serve uno sciopero?
Lo sciopero del 27 serve a molte cose. Quest’Europa dei banchieri, della Bce, è un problema che riguarda tutti: dobbiamo restarci? Il debito; anche noi facciamo parte del movimento «no debito» e pensiamo che non vada pagato. Ma, così come non si danno movimenti settoriali vincenti, così non ci possono essere movimenti solo «nazionali». Abbiamo rilanciato un processo di coordinamento europeo, perché i problemi sono comuni. C’è uno sbilanciamento assurdo nella distribuzione della ricchezza, e – da noi – il governo Monti-Napolitano sta peggiorando la stuazione, portandoci fuori dal modello sociale che era stato conquistato nel ‘900 soltanto per consegnare tutto il potere alle banche. Si può e si deve dire basta…


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