«I rifiuti non esistono» in un mondo che si ricordi di essere «circolare»

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«I rifiuti non esistono». È questo l’assunto di partenza della teoria di Paul Connett, chimico statunitense e teorico della strategia rifiuti zero, in Italia in questi giorni per un ciclo di conferenze. Nella tavola rotonda organizzata a Roma mercoledì dall’università  La Sapienza attraverso il centro studi Citera del professor De Santoli, Connett ha parlato dell’ormai famosa strategia «Zero Waste» partendo dalla necessità , non più rimandabile, di cambiare modello di società . 
«Abbiamo un problema di fondo – spiega Connett – Dalla rivoluzione industriale abbiamo imposto un modello di civilità  lineare a un pianeta che funziona in modo circolare. Nell’attuale modello economico la linea retta che passa è: estrazione-produzione-consumo-smaltimento in discarica, senza ritorno. Negli equilibri naturali al contrario le cose funzionano in maniera circolare». 
Applicando i passaggi previsti della Zero Waste Strategy (dalla riduzione al porta a porta, a compostaggio, reciclaggio, riutilizzo e riparazione, etc), è possibile secondo Connett reintegrare la ciclicità  anche nel sistema economico. Il punto di partenza del ragionamento è la centralità  del tema dei rifiuti. Un tema strettamente connesso al dibattito sul modello di sviluppo che l’esplosione delle crisi ha reso inevitabile, come anche alla riflessione sulla necessaria transizione verso un nuovo modello energetico distribuito e non accentrato. In un siffatto scenario modello energetico e chiusura del ciclo dei rifiuti possono forse essere funzionali l’uno all’altro…
Certo. Qualsiasi oggetto di uso quotidiano richiede com’è noto una certa quantità  di energia per la sua produzione. Bruciando rifiuti negli inceneritori recuperiamo una parte infinitesimale di questa energia, con grandi costi ambientali e sociali. Ridurre e riciclare vuol dire al contrario risparmiare energia a monte per l’estrazione e la produzione di nuove materie prime ed oggetti. Inoltre i residui organici posso essere usati per l’agricoltura, piccoli impianti per bio gas etc. Le due questioni camminano a fianco, non a caso le iniziative di questi giorni parlano della necessità  di andare verso una società  a emissioni e a rifiuti zero. 
Emissioni zero e rifiuti zero. Ciclicità  dei processi e rispetto dei cicli naturali. Le reti sociali che lavorano sulla giustizia ambientale e sociale ragionano sulle stesse categorie. A giugno si ritroveranno a Rio de Janeiro dove si terrà  il Summit sulla sostenibilità  di Rio+20. A vent’anni di distanza dall’Earth Summit del ’92 e di fronte al fallimento del concetto di sviluppo sostenibile, il centro del discorso sarà  la necessità  di ragionare sulla rifondazione di alternative concrete su cardini nuovi: giustizia ambientale e sociale, democratizzazione dello sviluppo, giusta sostenibilità . E’ un problema di giustizia, dicono, non una crisi ambientale e basta.
Sono del tutto d’accordo. Sono convinto che la situazione attuale nasconda un gigantesco problema di giustizia. Ad esempio ribatto sempre a chi promuove inceneritori che stanno proponendo qualcosa che non li preoccupa perchè vivono lontani dagli impianti: ciò che accade alla salute della gente e le conseguenze che producono non sono affar loro. Occorre invece pensare a soluzioni che valgano e diano beneficio a tutti. 
Altra questione di grande attualità  riguarda i modelli di gestione del ciclo dei rifiuti. Si va verso l’accentramento di funzioni attraverso multiutilities il cui processo di privatizzazione pare divenuto inarrestabile..
Dal mio punto di vista è preferibile la gestione pubblica, ma l’elemento davvero qualificante è la partecipazione dei cittadini nel processo. Per la buona riuscita di una strategia è fondamentale che i cittadini collaborino con i decisori politici per definire l’applicazione di un piano integrato. Come con l’energia occorre anche qui ricreare senso di comunità . Chiaramente ciò è più problematico quando si applica alle grandi città , ma è possibile realizzare anche in grandi centri urbani una gestione su piccola scala legandola a dimensioni territoriali minori, ad esempio municipi o quartieri. 
Roma è l’esempio perfetto. L’emergenza è tale che i comitati raccolti nella Zero Waste Lazio hanno lanciato per il prossimo 31 marzo a Roma una manifestazione che intende riunire le vertenze laziali a quelle campane, mobilitazione alla quale parteciperà  anche lei. La rete ha anche presentato una delibera di iniziativa popolare «Per Roma verso Rifiuti Zero» con la quale chiede alle istituzioni l’attuazione di una strategia di Riduzione-Riutilizzo-Riciclo-Recupero affinchè anche Roma possa seguire gli esempi di città  virtuose come S. Francisco o Buenos Aires. Lei conosce bene l’emergenza che vive la nostra regione. Se fosse l’incaricato di risolvere la situazione, da dove inizierebbe?
La primissima cosa sarebbe fermare l’orribile Malagrotta. Nel mettere a punto una strategia generale occorrerebbe invece lavorare immediatamente alla separazione universale dell’organico, come prima tappa essenziale. La seconda tappa riguarda le discariche situate nei centri urbani e nelle loro vicinanze, che dovrebbero essere messe in sicurezza e bonificate costruendo a fianco impianti che separano i materiali residui. La terza tappa sarebbe localizzare all’interno dei centri urbani luoghi dove si fanno riciclo, riuso e riparazione e pensarli come villaggi, come comunità . Occorre costruire a livello locale, dei centri di riuso e riparazione nei quartieri che poi siano integrati con il resto della rete di reciclaggio e trattamento dei rifiuti. Il sindaco di Londra ha aperto 9 centri di riparazione e riuso, investendo 12 milioni di dollari. Se lo fa una città  come Londra, anche Roma potrebbe e dovrebbe farlo. Basterebbe avere la volontà  di farlo.


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