«Stomaco vuoto», battaglia a oltranza

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GAZA – Allo sciopero della fame ad oltranza cominciato ieri da 1.200 detenuti politici palestinesi – altri 1.300 hanno digiunato simbolicamente per un giorno – si sono uniti ieri anche otto dei 50 attivisti di «Benvenuti in Palestina» arrestati al loro arrivo domenica scorsa all’aeroporto di Tel Aviv e in attesa di espulsione nel carcere di Ghivon. Gli unici 25 attivisti (su oltre 1.500) che hanno superato i controlli israeliani, tra i quali due italiani, invece stanno portando avanti il loro programma di incontri in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
La protesta dei detenuti palestinesi – nota come la «Battaglia dello stomaco vuoto» – è molto seguita nei Territori occupati dove è forte il sostegno alla lotta per il miglioramento delle condizioni di vita nelle prigioni israeliane e contro i cosiddetti «arresti amministrativi»: carcere per mesi senza processo e solo sulla base di indizi. Contro questa misura punitiva di recente si sono battuti con un lungo sciopero della fame prima Khader Adnan e poi Hana Shalabi, militanti del Jihad Islami. Shalabi, liberata ma deportata a Gaza per tre anni, ieri si è unita alle manifestazioni della Striscia in appoggio alla protesta dei detenuti. In serata non si aveva ancora notizia della scarcerazione di Khader Adnan, che doveva avvenire ieri dopo l’accordo tra i suoi avvocati e le autorità  israeliane. Nel frattempo ci sono altri dieci prigionieri politici che da settimane fanno lo sciopero della fame contro la «detenzione amministrativa». Alcuni vengono descritti in «condizione critiche» da familiari e avvocati.
Intanto la «Battaglia dello stomaco vuoto» ha avuto i primi riflessi politici. A sorpresa, il primo ministro dell’Autorità  nazionale palestinese (Anp), Salam Fayyad, non è andato ieri sera all’incontro, previsto da giorni, con il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Non si trattava di una ripresa dei negoziati ma il faccia a faccia che era considerato il meeting al più alto livello tra israeliani e palestinesi degli ultimi tre anni. Un passo forse giudicato «inopportuno» nel pieno della protesta dei detenuti. Fayyad avrebbe dovuto consegnare una lettera del presidente Abu Mazen con le condizioni per la ripresa del negoziato bilaterale. A cominciare dal blocco completo della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Un altro punto della lettera riguarda le linee del 1967, precedenti all’occupazione dei Territori, indicate come base per le trattative sui confini tra Israele e il futuro Stato di Palestina.


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