Alcoa. L’alluminio che resiste

Loading

I caschi battono ritmati sul selciato di fronte al portone del ministero. Dentro c’è Corrado Passera, che avrà  pure in mano lo Sviluppo ma per loro sembra fino a questo momento non avere occhi. Un casco batte rabbioso, ancora più forte, sul muro. Gli operai sardi non la mandano mai a dire. La loro fabbrica di alluminio, l’Alcoa di Portovesme, non deve chiudere. Per questo hanno preso in serata un traghetto da Cagliari, e a Civitavecchia hanno cominciato un piccolo pellegrinaggio a piedi fino a Roma, la capitale sorda. Ma perché a piedi? «Perché vogliamo dimostrare la resistenza dei sardi», urla Fabrizio, moro come tutti gli altri e con una bandiera rossa della Fiom avvolta a mo’ di mantello di Superman. Vicino a lui c’è Francesco, che la bandiera blu della Uil la porta invece appoggiata sulle spalle, come una giacchetta. E poi c’è Claudio, della Cisl. Hanno le facce stanche, ma soprattutto molto preoccupate. Intorno fischietti, trombe e caschi fanno un chiasso assordante, ma cercano comunque di spiegare. «L’Alcoa dà  lavoro a 600 operai – spiega Fabrizio – Ma con l’indotto, gli appalti, arriviamo a 1000 persone». Posti preziosissimi per la Sardegna, in continua emorragia di occupati, e in particolare per l’area del Sulcis. La stessa che vede protagonisti i minatori in occupazione ormai da sei giorni. La multinazionale Usa Alcoa vuole chiudere il sito, l’unico in Italia a produrre alluminio primario (quello cioè utilizzato in tutti i cicli successivi della lavorazione): si sono fatti avanti finora diversi compratori, dalla svizzera Glencore al fondo finanziario tedesco Aurelius, che però si è sfilato, fino a un gruppo cinese. In particolare sulla Glencore si concentrano le maggiori attese: oggi l’azienda è attesa al ministero per un confronto. «Il vero problema, però – continua Fabrizio – è che Alcoa sta facendo di tutto per non vendere: perché non vuole lasciare la fabbrica in mano a un concorrente». Gli operai spiegano che Alcoa sta ultimando un maxi stabilimento in Aurabia Saudita, dove i salari sono notevolmente più bassi e la manodopera più «malleabile» vista la penuria di diritti sindacali: i siti europei sono così destinati a essere ridotti (come sta accadendo in Spagna) o chiusi (come a Portovesme), senza lasciare sulla scia pericolosi concorrenti, se possibile. Sospettano che non a caso si sia trattato con un fondo finanziario come Aurelius, certamente più evanescente di un big solido e affermato, ma soprattutto con chiare prospettive industriali, come la Glencore. Che però ora, si direbbe per fortuna, è tornata in ballo. A complicare le cose si mette il fattore energetico: Alcoa ha sempre lamentato di essere in perdita per i costi più alti in Italia che altrove. Così già  sotto Berlusconi, nel 2010, si fece un «decreto salva-Alcoa», per permettere alle industrie delle due principali isole, Sardegna e Sicilia, di godere di tariffe Enel agevolate. Con il placet della Ue. Oggi i sindacati chiedono al governo (detentore di una quota dell’Enel) di intervenire per un nuovo accordo tra il fornitore energetico e il gruppo che subentrerà . «E dovrebbe essere decennale, questa volta, non solo triennale», dice Francesco: altrimenti la fabbrica non troverà  facilmente acquirenti. «C’è un’altra richiesta importante che avanziamo al governo e a Passera – conclude Claudio – facciano pressione su Alcoa perché si decida a vendere». Ma per ora è una disperata corsa contro il tempo: Alcoa ha già  deciso di cominciare a spegnere le celle – il cuore dell’industria – a partire dal 3 settembre. Operazione che dura diversi mesi, ma che segna la condanna a morte, perché chi comprerà  dovrà  sborsare somme molto ingenti per la riaccensione. Il che è come dire che a quel punto sarà  ancora più difficile che qualcuno compri. La chiusura definitiva dovrebbe arrivare il 31 dicembre, e dal 2013 gli operai entrerebbero in cassa. Tra chi protesta c’è anche un nutrito gruppo di sindaci, tutti quelli del Sulcis. «In tutto 23 comuni con un bacino di 165 mila abitanti», spiega il portavoce Franco Porcu, primo cittadino di Villa Massargia. Quei posti, come i 600 della miniera, sono preziosissimi. Il polo industriale di Portovesme dà  lavoro a 8000 persone, e se va in crisi non ci sono alternative. La disoccupazione da noi è al 28%, quella giovanile addirittura al 60%. Salviamo la filiera dell’alluminio, salviamo il carbone rendendolo verde: il governo deve darci una mano, non ci può lasciare soli». **************** LA POLVERIERA Oltre 1.770 aziende in crisi Ogliastra disoccupata Cgil, Cisl, Uil hanno annunciato gli stati generali a settembre e si profila uno sciopero generale sardo per settembre. La situazione è esplosiva in tutta la regione, è la crisi più drammatica dal dopoguerra. Non solo il gigante americano Alcoa che il 3 settembre rischia di spegnere gli impianti di Portovesme o la miniera Carbosulcis di proprietà  della regione che estrae con licenza europea. Bisogna ricordare Eurallumina, controllata dal colosso russo Rusal che conta 330 dipendenti in cassa integrazione, Portovesme Srl, nel Sulcis, ma anche Keller nel Medio Campidano, E.On, nel polo energetico di Fiume Santo, con gli investimenti congelati e la nuova centrale a Porto Torres che resta un miraggio. E ancora: la centrale elettrica con tutto il polo industriale di Ottana (Nuoro), il Petrolchimico di Porto Torres, la Vynils, nel nord dell’isola, la cui vertenza non ha portato a niente: le multinazionali se ne vanno i lavoratori sono senza paga da mesi, la cassa integrazione è scaduta il 9 giugno e non c’è stata ancora la proroga, si aspetta l’incontro al ministero con i commissari fallimentari previsto il 17 settembre. Sono oltre 1.770 le crisi aziendali riguardanti tutti i settori produttivi della Sardegna, dal petrolchimico al tessile, smantellato nell’area di Macomer, con il de profundis dell’Ogliastra. Il lavoro nel 2012 segna dati mai così negativi: il picco più alto di disoccupazione riguarda l’Ogliastra con il 18%, la percentuale più bassa è quella di Carbonia-Iglesias con il 35%. Il tasso di disoccupazione giovanile, nella fascia di età  dai 15 ai 24 anni, vede Sassari con una percentuale del 50%; mentre nella fascia di età  25/34 anni la percentuale più alta è dell’Ogliastra con il 29%.


Related Articles

“Non esiste un caso Italia” la partita di Palazzo Chigi tra Bruxelles e i veti tedeschi

Loading

L’Italia ha ragione a non voler sembrare un paese sotto osservazione che tratta uno sconto con Bruxelles per salvarsi l’osso del collo

Mazziare i poveri gridando «equità »

Loading

L’Irpef per i «ricchi» resta uguale, quella regionale aumenta (e la paghiamo tutti)

Voucher, cambia il nome, non la sostanza

Loading

Introdotto un tetto di 5mila euro, il lavoratore non potrà ricevere più di 2.500 euro l’anno da un datore di lavoro

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment