“Troppe tasse e tagli alla spesa gli Usa rischiano un’altra recessione”
NEW YORK — E’ allarme recessione per l’economia americana. E stavolta non c’entra l’eurozona; se non per analogia con l’austerity adottata sul Vecchio continente. E’ una crisi Usa tutta ‘fatta in casa’, ed è quasi una certezza, se non si sblocca l’impasse politica che finora ha impedito accordi bipartisan sulle politiche di bilancio. A meno di un disgelo post-elettorale, infatti, a fine anno scatta una mannaia automatica già inserita nella legislazione corrente. Tagli di spese più aumenti di tasse.
Col risultato, appunto, di una ricaduta nella recessione, con conseguente aumento della disoccupa-
zione. A dirlo è un’autorità riconosciuta, indiscussa e bipartisan, il Congressional Budget Office (Cbo). Che ha messo nero su bianco la sua drammatica previsione, nell’ultimo documento ufficiale prima dell’elezione presidenziale del 6 novembre. A legislazione invariata, avverte il Cbo, il Pil americano scenderà dello 0,5% nel 2013 e il tasso di disoccupazione risalirà fino al 9%. Lo scenario dà ragione implicitamente a tutti gli economisti keynesiani che denunciano i gravi danni dell’austerity. Infatti la ricaduta in recessione coinciderebbe con una stretta di bilancio perché il deficit federale scenderebbe dai 1.100 miliardi di dollari del 2012 a 641 miliardi, pari al 4% del Pil (mentre il debito resterebbe al 73% del Pil, il doppio
che nel 2007 e mai così alto dal 1950). Per effetto di questa austerity, la crescita che quest’anno sarà del 2,1% verrebbe decurtata di oltre due punti e mezzo, tornando in rosso come nel 2008-2009. Solo a condizione di evitare il rigore di bilancio, e mantenendo un deficit dell’ordine di 1.000 miliardi, la crescita sarebbe dell’1,7% e la disoccupazione scenderebbe all’8% (dall’8,2% attuale) secondo le stime del Cbo. Ma salvo
sorprese clamorose legate all’esito del voto di novembre – oppure a un ‘rinsavimento’ del Congresso – la mannaia scatterà in modo implacabile perché è già scritta nelle leggi. Fu l’esito della crisi che stava per portare al default tecnico degli Stati Uniti per mancata approvazione della legge finanziaria: alla fine Barack Obama e il partito repubblicano (che ha la maggioranza alla Camera) trovarono un minimo comune denominatore in quell’escamotage. A meno di novità , dunque, alla fine di quest’anno scadranno automaticamente tutti gli sgravi fiscali concessi dall’Amministrazione Bush, e non solo ai ricchi. Con quegli sgravi, verrà meno anche la provvisoria riduzione della ritenuta alla fonte sulle buste paga dei lavorato-
ri. Risalirà ai livelli pre-Bush anche l’imposta di successione. Sul fronte delle spese, i tagli automatici decurteranno di 110 miliardi nel 2013 le uscite federali, incluse in parte le spese militari. Cesseranno anche alcune indennità di diosccupazione. Insomma, i tagli colpiranno indiscriminatamente, alla cieca. Un’austerity di stampo greco o portoghese, nel senso delle terapie imposte dalla troika ai paesi sotto programma di aiuti in Europa. E con risultati altrettanto negativi sulla crescita. Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha definito lo scenario di fine anno «il burrone fiscale»: dal quale cadranno tutti, l’America e le altre economie mondiali che ne subirebbero le ripercussioni.
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