Una manovra tutta da rifare

Una manovra tutta da rifare

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Prima ancora che nel merito delle sin­gole misure, il pro­blema della Legge di Sta­bi­lità 2016 è la visione di fondo. Il pre­sup­po­sto è che per defi­ni­zione la finanza pub­blica è il pro­blema, quella pri­vata la soluzione.

Si con­ti­nua a pen­sare la crisi come un carenza di offerta, tra­scu­rando una domanda che non riparte per le enormi disu­gua­glianze e povertà, la man­canza di inve­sti­menti pub­blici e i pro­blemi strut­tu­rali del paese. Una visione rias­sunta nell’Allegato tec­nico del mini­stero dell’Economia.

Una visione rias­sunta nell’Allegato tec­nico del mini­stero dell’Economia: «Il Governo e il Mef (in par­ti­co­lare) inten­de­ranno muo­versi lungo tre diret­trici principali:

  1. per­se­guire una poli­tica di bilan­cio di soste­gno alla cre­scita, nel pieno rispetto delle regole di bilan­cio adot­tate dall’Unione europea;
  2. con­so­li­dare il per­corso di riforma strut­tu­rale del Paese, per aumen­tarne signi­fi­ca­ti­va­mente le capa­cità competitive;
  3. miglio­rare il con­te­sto nor­ma­tivo in cui si muo­vono le imprese e le con­di­zioni alla base delle deci­sioni di investimento».

Nes­suno sco­sta­mento dai vin­coli euro­pei, la com­pe­ti­ti­vità come un fine in sé stesso, non una parola sul benes­sere dei cit­ta­dini, la povertà o le dise­gua­glianze, ma favo­rire le imprese in ogni modo pos­si­bile.
A dispetto delle dichia­ra­zioni su una mano­vra espan­siva, si pre­vede un defi­cit per il 2016, al netto della «clau­sola migranti», infe­riore dello 0,4% del Pil rispetto a quello del 2015 (2,2 con­tro 2,6%), e un avanzo pri­ma­rio fino al 4,3% nel 2019, un valore inso­ste­ni­bile e che stran­go­le­rebbe l’economia di qual­siasi Paese. Un’impostazione ini­qua ma che forse poteva avere una giu­sti­fi­ca­zione alcuni anni fa, con l’Italia al cen­tro di una bufera spe­cu­la­tiva e ren­di­menti dei Btp oltre il 7%.

Gra­zie al Quan­ti­ta­tive Easing della Bce, oggi i titoli di stato hanno ren­di­menti bas­sis­simi o nega­tivi. Nel con­tempo ci sono enormi neces­sità nel paese. Se non si pensa adesso a un piano di inve­sti­menti pub­blici, quando è pos­si­bile farlo?

Al con­tra­rio, l’unica poli­tica indu­striale con­si­ste nell’accelerare sulle pri­va­tiz­za­zioni che, nelle dichia­ra­zioni, dovreb­bero abbat­tere il debito pub­blico. Nel migliore dei casi si potrebbe par­lare di limare alcuni deci­mali, rinun­ciando nel con­tempo a qual­siasi poli­tica pub­blica e met­tendo a rischio l’universalità di alcuni ser­vizi, come quello postale.

Manca un piano di inve­sti­menti pub­blici, dele­gando al pri­vato, tra­mite sgravi fiscali e tagli alle tasse, il rilan­cio di occu­pa­zione ed eco­no­mia. Tagli che sono comun­que una parte mode­sta della mano­vra, con­si­de­rando che ben 16,8 miliardi su 26, riguar­dano le clau­sole di sal­va­guar­dia. Non tagli alle tasse, quindi, ma inter­venti per evi­tare un loro aumento, scon­giu­ran­dole uni­ca­mente per il pros­simo anno e riman­dando il pro­blema. Ma ammesso e non con­cesso che gli inve­sti­menti pri­vati doves­sero arri­vare, natu­ral­mente andreb­bero dove sono mag­giori le pos­si­bi­lità di profitto.

Dele­gare gli inve­sti­menti al pri­vato signi­fica il rischio con­creto di un ulte­riore allon­ta­na­mento del Mez­zo­giorno rispetto alle regioni più ric­che e un ulte­riore aumento delle diseguaglianze.

Del tanto sban­die­rato «Master Plan» per il Mez­zo­giorno rimane poco o nulla. Qual­cosa per la «terra dei fuo­chi» e inve­sti­menti nelle grandi opere come la Salerno-Reggio Cala­bria, in attesa magari che torni in voga il ponte sullo Stretto di Mes­sina. Dif­fi­cile pen­sare che un pri­vato inte­res­sato a mas­si­miz­zare il pro­fitto a breve possa for­nire i «capi­tali pazienti» per la ricon­ver­sione eco­lo­gica dell’economia, la ricerca, la for­ma­zione e gli altri inve­sti­menti tanto neces­sari quanto urgenti sia in ter­mini di crea­zione di posti di lavoro sia per il Paese nel suo insieme.

Se non ci sono risorse per gli inve­sti­menti pub­blici, ce ne sono ancora di meno per wel­fare ed enti locali. A dispetto delle dichia­ra­zioni, i fondi alla sanità subi­scono ulte­riori tagli, di oltre 2 miliardi rispetto a quanto con­cor­dato lo scorso anno tra Regioni e governo e inse­rito nell’aggiornamento del Def, e di oltre 4 miliardi rispetto alla Legge di sta­bi­lità 2015. Tagli a cui si som­mano quelli alle Regioni, pari a 3,9 miliardi nel 2017, poi a 5,4 miliardi nel 2018 e 2019. Il tutto si tra­durrà o nell’aumento delle impo­ste locali o in nuovi tagli alla sanità, ai ser­vizi sociali, al tra­sporto pub­blico locale, con impatti prin­ci­pal­mente sulle fasce più deboli della popolazione.

Tagli che ser­vono, almeno in parte, per finan­ziare misure ini­que come l’eliminazione della tassa sulla prima casa: si abo­li­scono le ultime tasse patri­mo­niali in un Paese con scar­sis­sima mobi­lità sociale e dise­gua­glianze cre­scenti. Altret­tanto cri­tica è la scelta di alzare a 3.000 euro la soglia del con­tante, una misura che rischia di avere effetti estre­ma­mente pesanti non solo nella lotta all’evasione fiscale ma prima ancora sul rici­clag­gio.
È neces­sa­rio muo­versi in dire­zione oppo­sta. Sbi­lan­cia­moci! pro­pone un piano di inve­sti­menti per il lavoro e l’introduzione di una misura strut­tu­rale di soste­gno al red­dito. L’Italia, assieme alla Gre­cia, è l’unico paese euro­peo a non averne una.

Le risorse si potreb­bero tro­vare con poli­ti­che dif­fe­renti, da una vera tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie a tagli non nella sanità o nei tra­sfe­ri­menti agli enti locali quanto per grandi opere inu­tili quanto dan­nose, a par­tire dalla Tav Torino-Lione o le spese mili­tari a par­tire dagli F35.

In con­clu­sione, una Legge di sta­bi­lità pes­sima da quasi tutti i punti di vista. O meglio, una Legge di sta­bi­lità coe­rente con una visione total­mente sba­gliata non solo dell’attuale situa­zione eco­no­mica, ma più in gene­rale del ruolo dello stato e delle poli­ti­che eco­no­mi­che che può met­tere in campo. In cui com­pe­ti­ti­vità, export e mer­cato sono le fina­lità da inse­guire a ogni costo, prin­ci­pal­mente sacri­fi­cando i diritti ed esa­spe­rando dise­gua­glianze già inaccettabili.



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