L’Europa non è solo l’euro

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E se facessimo astrazione dalla dura realtà  degli 11,88 miliardi di euro di tagli necessari? Per una volta cerchiamo di non pensare ad argomenti come gli errori compiuti e l’assenza di sistema politico, il terribile fardello che grava sulle spalle dei cittadini, i tagli e i sacrifici che esige la troika. Tutti argomenti che attraverso il gran numero di analisi di editorialisti e specialisti sono ormai sotto gli occhi di tutti.

Parliamo invece della sostanza, e la sostanza è quell’entità  che chiamiamo “Europa”. Ho paura che noi, gli europei, ci siamo fatti contagiare dai politici compiendo un errore fatale: abbiamo messo in comune l’Europa e l’euro. Chi segue da vicino l’attualità  non solo greca ma europea ha l’impressione, soprattutto dopo lo scoppio della crisi, che l’Europa non esista senza l’euro. Nella mentalità  degli europei è radicata la certezza quasi assoluta che chi non è membro della zona euro non è considerato europeo.

L’esempio più evidente di questa mentalità  si ritrova sui media greci. Negli ultimi mesi seguo quotidianamente lo psicodramma con la Germania, sulla sua volontà  di volerci o meno nella zona euro. Fino alla visita del primo ministro greco Antonis Samaras ad Angela Merkel [il 24 agosto], l’impressione generale era quella di una Germania molto ostile nei nostri confronti, mentre adesso siamo passati a una prospettiva più rassicurante, diciamo del 50 per cento.

Nella prima parte di questo psicodramma l’angoscia non si limitava alle conseguenze disastrose sull’uscita dall’euro per l’economia greca e la vita dei suoi cittadini, ma sul fatto che la Grecia sarebbe diventata una sorta di stato paria. Al contrario l’argomento dei tedeschi che vogliono cacciarci dall’euro non si basa solo sul fatto che la Grecia non è in grado di farcela, ma sulla necessità  di punirla per i suoi errori e di metterla alla gogna o quanto meno inserirla fra i delinquenti.

Ora io mi chiedo: anche gli stati che appartengono all’Ue ma non alla zona euro devono essere considerati dei paria? Il Regno Unito, la Danimarca, la Svezia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Polonia e altri cinque paesi vivono in colonie per delinquenti? La Germania, che ha distrutto due volte l’Europa, è più europea del Regno Unito che l’ha salvata altrettante volte? Il Regno Unito avrà  tutte le sue particolarità , ma c’è sempre stato quando l’Europa ne ha avuto bisogno.

Temo che siamo entrati in una spirale dalla quale non sappiamo più come uscire. Dico questo perché dall’inizio della crisi ho letto molto raramente sula stampa europea articoli che si preoccupavano dei paesi esterni alla zona euro, a eccezione del Regno Unito. E nel caso del Regno Unito l’interesse era sempre dovuto alle complicazioni imposte dalla politica del paese all’eurozona.

Dato che rischio di essere frainteso, preferisco mettere le cose in chiaro: non faccio parte di quelli che chiedono il ritorno alla dracma; non ho neppure particolari obiezioni o problemi a utilizzare l’euro, a condizione di non dimenticare che l’euro è una moneta come migliaia di altre. Non è la chiave di volta della nostra esistenza. Esisteva un’Europa unita prima dell’euro, anche se non si chiamava così. La differenza fra l’Europa di prima dell’euro e l’Europa dell’euro non si limita solo alla moneta comune.

Prima dell’euro l’Europa non era solo una comunità  economica, era anche la visione dei padri dell’integrazione europea. Dei paesi dotati di lingue, storie, culture e tradizioni diverse che volevano riunirle sotto il tetto dei comuni valori europei.

Non dimentichiamo che i paesi dell’ex blocco socialista non hanno aderito all’Europa solo per il mercato comune e per la prospettiva di un migliore stile di vita, ma anche perché sono stati privati per 45 anni dei valori europei. L’ultimo a citare questi argomenti è stato Jacques Delors, ma dopo di lui il dibattito su questo ambizioso progetto è venuto meno fino all’introduzione dell’euro, e la moneta unica ha divorato tutti i valori comuni.

L’unità  dell’Ue è stata sostituita dall’unità  dell’eurozona. Oggi viviamo in un’Europa in cui solo i politici e gli economisti hanno diritto di parola. Per questo motivo il dibattito rimane così superficiale, come la maggior parte dei dirigenti europei, e unidimensionale, come il tradizionale discorso degli economisti. Manca uno sguardo globale sull’Europa perché gli scrittori, gli artisti e gli intellettuali fanno fatica a esprimersi.

Verso la guerra civile

Per me non si pone il dilemma euro o dracma. Ma si pone invece una domanda: quale Europa? C’era un’Europa prima dell’euro, e ce ne sarà  una dopo l’euro se questo dovesse scomparire?

Nell’Europa centrale e settentrionale si diffonde un movimento popolare di contestazione, che non vuole più dare denaro agli europei del sud, inutili e spreconi. Questo può farci arrabbiare, ma non per questo dobbiamo condannare gli europei del nord. Al loro posto avremmo pensato la stessa cosa, così come gli spagnoli, gli italiani o i portoghesi. Chi conosce un ricco disposto a dividere il suo denaro con i poveri?

Nello stesso momento nei paesi del sud si sviluppa un sentimento di rabbia contro i paesi europei più ricchi. Un sentimento che proviene da popoli che soffrono e che vedono il loro livello di vita deteriorarsi di giorno in giorno. Non siamo soli: gli spagnoli, gli italiani e i portoghesi provano la stessa cosa. Nessuno può biasimarli, ed è proprio questo il problema. Perché se l’euro non dovesse farcela, non è detto che avremo ancora un’Europa dopo la scomparsa della moneta comune.

La cosa più probabile è che avremo un’Europa tagliata in due, con una parte che accuserà  l’altra del fallimento dell’euro. Avremo un’Europa divisa in due schieramenti in cui ci si detesterà  e disprezzerà  a vicenda.

Non dico che bisogna abbandonare l’euro. Ma bisogna valutare se questa moneta comune vale la divisione dell’Europa in due fronti contrapposti. Se merita di distruggere quello che l’Europa ha costruito dal 1957 in condizioni molto difficili. Mentre cerchiamo le cifre perdiamo di vista gli uomini. Questa è la vera tragedia. Spero di avere torto, ma stiamo correndo verso una sorta di guerra civile europea.

Traduzione di Andrea De Ritis


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