Cina, che cosa resta del “popolo”?

Loading

“Il popolo”. È da questo termine che lo scrittore nel suo ultimo lavoro “La Cina n dieci parole” inizia il suo viaggio nella rivisitazione di dieci parole – appunto – che egli stesso sceglie e usa per descrivere la Cina. Yu mette una mano in tasca per cercare significati passati e allo stesso tempo guarda sulla sua scrivania attuale per raggruppare anche quei “termini nuovi di zecca piovuti dal cielo” di una Cina che “dal primato della politica ha ceduto il passo a quello dell’economia”. Come palloncini le parole nel tempo hanno volato spostandosi di significato in significato. Alcune si sono gonfiate troppo, altre invece si sono eccessivamente sgonfiate. Altre ancora si sono ririempite, altre svuotate, appassite, o semplicemente scoppiate.

Il primo ottobre del 1949 Mao Zedong e i funzionari di rilievo che dal 1945 si erano formati attorno al leader – altra parola presa in esame dallo scrittore -, proclamarono la Repubblica Popolare Cinese RPC. Da quel giorno sino ad oggi sostanzialmente il Partito è stato il centro di un sistema quadrato dove sui lati rispettivamente si possono trovare: Partito, Stato, Esercito di liberazione popolare e popolo.

Il quinquennio dal ‘49 al ‘54 era legittimato e rappresentato dal Programma comune – in cinese gangling – : un progetto costituzionale provvisorio, formato da sette capitoli e sessanta articoli. È stato il primo mezzo giuridico, se così si può definire, di cui il Partito comunista si è servito nel suo primo passo verso il passaggio al socialismo, in una società  dove il capitalismo era presente.

Dal 1949 ci vollero cinque anni affinché il partito adottasse una Costituzione – in cinese xianfa – che si possa definire giuridicamente tale. I lavori costituzionali iniziati a marzo del 1954 si sono conclusi il 20 settembre dello stesso anno, giorno in cui l’Assemblea nazionale ne ufficializza il vigore.

La “ricostruzione di una nuova democrazia” – dal titolo dell’ottavo capitolo del saggio “La Cina del Novecento” di G. Samarani- era il progetto che Mao stava elaborando fin dalla fine degli anni Trenta. Una volta al potere dopo anni, anzi decenni di guerra fra i due fronti nazionalista e comunista, interrotta per altro da un’ulteriore invasione nipponica non proprio pacifica, il panorama che il “timoniere” si trovò fuori dalla Porta Celeste – in cinese Tian’anmen – agli albori della sua Repubblica era decisamente mutato e affaticato.

Emergenze politiche, economiche e sociali riempivano le pagine giornaliere dei programmi dell’agenda della nomenclatura e il principio era stato interpretato in una “nuova democrazia” attraverso una “dittatura democratica popolare” dove veniva espressamente rivendicato “il tema della dittatura democratica da parte della classe operaia (e quindi del Pcc)”.

Ma quali e dove sono i punti di continuità  che si riscontrano nella Cina attuale? Quali colori del passato si ritrovano oggi nella democrazia chiamata socialista, nell’organizzazione statale e nel progetto costituzionale?

IL PCC . Il punto di continuità  immediato è sicuramente politico, da identificare nel monopolio del Partito unico.

Eccessi e Riforma. L’enfasi su quella economica è stata sempre protagonista. Al di là  dell’abito socialista o capitalista che hanno indossato negli anni – anche se nel caso cinese la linea fra i due è molto sottile –, le riforme economiche adottate sono comunque sempre state e continuano ad essere emblema di eccessi.

Il preambolo costituzionale. Presente fin dalla prima bozza costituzionale. Oggi, grosso modo come allora, sancisce i fondamentali principi circa il ruolo del Partito. Principalmente si evidenziano il ruolo politico – di egemonia e massima rappresentanza – e quello storico – di guida meritevole negli anni -.

La Democrazia. Prima di essere il leader incontrastato della Cina Mao parlava già  di “nuova democrazia”. Oggi all’interno del PCC si parla di democrazia. Il Premier Wen Jiabao ne fa uso nei discorsi che da anni sta facendo dalle università  cinesi ai comizi internazionali. Lo accosta spesso a nozioni come “stato di diritto”, “armonia”, “sviluppo sostenibile” e altro ancora. Si parla di democrazia in senno e dentro il Partito. Da una parte i concetti promossi sono pieni di un carattere propagandistico, ma contempo sono formalmente degli obbiettivi che mirano ad apportare dei cambiamenti fra le mura del PCC. La democrazia di cui si parla in Cina ne è un esempio. Seppur sottoposta a limiti oggettivamente visibili, essa sembra dover prendere piede prima di tutto nel Partito, controllandone comportamenti, azioni e migliorandone le dinamiche interne. “Se la tendenza è quella di andare verso la democrazia, il cammino deve iniziare già  all’interno del PCC”. (G. Samarani, p. 37, 2010). Come Marina Miranda spiega nello scritto “Democrazia con caratteri cinesi” il concetto stesso rivendicato alla fine degli anni Ottanta è da assoggettare a libertà . Oggi come allora nel Partito il termine non è taboo, ma ha dei significati precisi – per quanto possano essere condivisi e con tutti i limiti visibili che hanno – che divergono rispetto all’interpretazione liberale alla quale noi siamo abituati. Una democrazia quasi trasversale che viene a galla nel pezzo di mare chiamato “società  armoniosa” e in quello chiamato “sviluppo scientifico”, ma che nel vasto oceano del popolo cinese nuota ancora in acque profonde. Un concetto dai caratteri cinesi – o come si voglia chiamarli – che sta battendo nel cuore della retorica politica cinese, ma che non si capisce se riesce o riuscirà  a scorrere fino a raggiungere il quarto lato della struttura cinese quadrata rappresentato dal popolo.

Francesca Bottari

Fonte: francescabottari.org

P.s. Fotografia. È facile qui trovare un punto di rottura piuttosto che una continuità . Un taglio netto si ha a metà  degli anni Settanta fra la fotografia al servizio della politica espressa attraverso il culto della personalità  e la fotografia usata per immagini private. Il cambiamento è seguito alla morte del leader Zhou Enlai e alle speranze che aveva seminato. Il popolo in quell’occasione sfilò pubblicamente per la prima volta, e sempre per la prima volta arrivano delle immagini private made in China che ci fanno vedere una Piazza Tian’anmen colma di gente riunita per il Movimento del cinque aprile 1976


Related Articles

Bahrain due anni dopo La lotta si fa dura

Loading

Il 14 febbraio 2011 la rivolta contro la monarchia assoluta di Hamad al Khalifa toccava il suo punto più alto. E domani le opposizioni puntano a riempire le strade di Manama, unità  speciali permettendo Repressione feroce, complicità  dei paesi del Golfo e silenzio degli Usa hanno radicalizzato le posizioni dei più giovani. Che ora si calano il passamontagna e gridano: «Fino alla vittoria»

BIRMANIA, UNA NUOVA ERA A LIBERTà€ VIGILATA

Loading

È semplicemente magnifico – ma non fermiamoci all’emozione. Dopo quindici anni di carcere e di arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi ha dunque vinto.

“Grazie ai migranti un’Europa migliore scopriamoci solidali”

Loading

Anthony Giddens. L’ex rettore della Lse e ideatore della terza via: “Serve una strategia multilaterale, non discorsi a vuoto”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment