Le anomalie di un’eredità  nel Conclave

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La situazione che si è aperta con l’annuncio della rinuncia di Benedetto XVI all’ufficio di vescovo di Roma e pastore della chiesa universale è delicatissima. Il fatto in sé è imprevisto nei suoi tempi (anche se l’enormità  ecclesiologica di far vescovo il proprio segretario poteva farlo presagire). Il diritto canonico, però, ha sempre contemplato la possibilità  che il Papa possa «rinunciare liberamente» al proprio mandato, senza che nessuno debba discutere, votare o accettare le sue dimissioni. E così è stato (con la variante non del tutto banale che Benedetto XVI ha fissato la sua cessazione dall’ufficio distante due settimane dall’annuncio di oggi). La fisiologia del diritto ha fatto sì che il primo a essere informato sia stato il collegio cardinalizio, a cui incombe l’obbligo di provvedere all’elezione del Papa, e che il suo decano, il cardinale Angelo Sodano, l’unico ad essere preavvertito, si sia messo in moto per un Conclave certo singolare. L’andamento dell’episcopato romano di Ratzinger non è così dissimile da quello che aveva vissuto a Monaco. Là  un accumularsi di tensioni e ripicche che avevano sovrastato le sue doti di governo. Con in più, nel caso vaticano, un accumularsi di tradimenti, nefandezze e traffici, dai quali si è ritratto, aumentandone incolpevolmente la magnitudo. Forse valutando da sé la propria salute. Certo pressato dall’amarezza di aver fallito in quella riconciliazione con i lefebvriani che l’hanno attratto nella trappola delle concessioni senza nulla concedere. Fino a convincersi a passare la mano, anziché cercare persone nuove per gli alti ranghi nuovi nella sua curia.
I precedenti storici di un gesto simile sono lontani. Riguardano eretici e monaci: non un uomo che nel precedente Conclave ha enunciato in modo durissimo un programma pontificale di lotta ideologica al relativismo. Il futuro, invece, è vicinissimo: ed è pieno di anomalie, di insidie, di strettoie.
Il Papa, dicevo, ha posto come termine del suo mandato il 28 febbraio: e già  questo introduce nella procedura qualcosa di anomalo. S’apre oggi un tempo lunghissimo nel quale tutti i cardinali — anche gli ultraottantenni che non parteciperanno al Conclave — faranno sentire la loro voce, il loro peso, le loro inclinazioni. Un tempo seguito dalle congregazioni generali per l’attesa degli elettori, che normalmente coincidono con il lutto del Papa e che in questo caso andranno fissate e modulate: congregazioni che vedranno presenti i grandi vecchi di un collegio che sarà  intimidito dalla circostanza non meno di quanto lo fu dalla folla venuta a venerare il corpo morto di Giovanni Paolo II. Nulla di male, ma da quando nel 1968 Paolo VI escluse dall’elettorato attivo gli ottuagenari la tensione fra il gruppo del 120 elettori e i non elettori, ormai una folla, è stata un fattore critico. Sarà  il cardinal Sodano il regista di questo passaggio delicatissimo e sarà  lui a decidere quando pronunciare l’orazione de eligendo pontifice che accompagnerà  gli elettori alle porte della Cappella Sistina.
Il secondo punto ancor più delicato riguarda il peso della eredità  di Ratzinger nel Conclave stesso. La morte del Pontefice, infatti, concede agli elettori lo spazio per una valutazione breve e tutto sommato libera dell’andamento del pontificato precedente: non è la chiesa cattolica il luogo di sbraitate sterzate; ma è quello nel quale avvengono grandi svolte, come quella fra Pio X e Benedetto XV o fra Pio XII e Giovannni XXIII o fra Paolo VI e Giovanni Paolo II. Svolte che si basano sulla capacità  e la volontà  dei cardinali di dichiarare chiusa una stagione e prendere atto che il Papa defunto «aveva mille doti, però…». Qui le cose rischiano di essere diverse: il fremito di pre-beatificazione di Benedetto XVI, che fece per nobilitate il gran rifiuto, se dovesse durare nel tempo (un tempo nel quale Ratzinger parlerà , dirà , apparirà ) mette i cardinali elettori davanti al dilemma: o esporsi per cercar di capire che cosa c’è stato di strutturale e teologico nella crisi che ha travolto il papato tedesco; oppure presentarsi come i fautori di una continuità  e cercare di dare ancora spazio ad una linea di governo in funzione di un Papa quasi-teologo e quasi-tedesco.
Il terzo punto riguarda la destinazione fisica di Ratzinger. Ieri è stato detto che il Papa si ritirerà  a Castello per la seconda metà  della quaresima e poi andrà  ad abitare dentro il perimetro Vaticano, in un convento in via di risistemazione. Nel secolo XX qualcuno ha accarezzato l’idea delle dimissioni, come Paolo VI all’indomani dell’Humanae vitae. Wojtyla nella acuzie della malattia aveva immaginato di poter rinunziare e di ritirarsi in un convento polacco, per svanire dalla scena pubblica. Le notizie di oggi dicono invece che l’ex Papa vivrà  a Roma, in Vaticano. Non si tratta certo della tragedia dei due papi dei tempi dello scisma d’Occidente. Il Papa sarà  uno solo e Ratzinger sarà  uno delle migliaia di vescovi emeriti della chiesa cattolica. Ma certo l’idea che l’ex Papa decida di sé, obbligando il successore o ad accettare un condominio non facilissimo (andrà  a trovarlo? concelebrerà ? lo consulterà ?) o ad allontanarlo con un provvedimento che tutti leggeranno come prepotente, dice quali e quante siano le cose di cui tener conto in quello che di nuovo, com’è stato nei secoli passati, sarà  un Conclave lunghissimo di cui l’Ansa delle 11.27 dell’11 febbraio 2013, ha segnato l’inizio.


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