Una scelta politica sulle energie alternative

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Infine siamo ormai in dirittura d’arrivo di un grande evento come Expo 2015, dedicato non solo all’alimentazione ma anche all’accesso all’energia. Ci serve dunque una riflessione pacata, che spesso non si riesce a individuare nelle posizioni di parte. Da un lato c’è Assoelettrica, cioè i produttori di energia da fonti prevalentemente fossili, che attraverso Chicco Testa e altri parla di flop del solare, dell’elevato costo dei suoi incentivi (parlano di 6,5 miliardi di euro), del suo scarso effetto nella filiera industriale italiana, dell’impatto nefasto sui produttori termoelettrici. Del resto altre volte Massimo Mucchetti se ne era occupato in termini non molto diversi da queste colonne. In tema di incentivi credo che l’Italia abbia un meritato Guinness dei primati. Infatti, sempre in tema energetico, sono ormai vent’anni che premiamo con incentivi fra 1 e 2 miliardi all’anno (si tratta sempre di cifre attualizzate) i cosiddetti Cip6, cioè le energie prodotte da fonti rinnovabili e «assimilate», aggettivo dietro il quale si nascondono anche bitumi bruciati a bocca di raffineria e rifiuti non biodegradabili bruciati in vari inceneritori, malgrado pareri contrari della Commissione Ue. Non vorrei infierire con Chicco Testa, che ne ha fatto abbondante ammenda, sul costo di abbandono del nucleare (si è parlato di 100 miliardi di euro) in seguito al referendum del 1987: si tratta sempre di incentivi, positivi o negativi, che finiscono in bolletta. Si può sempre sbagliare, si dirà. Ma questo vale anche oggi. Non vorrei nemmeno citare l’enorme massa di incentivi che periodicamente in Italia sono stati assegnati a imprese e che spesso non sono finiti in bolletta, cioè a carico dei consumatori diretti, ma pagati dalla fiscalità generale.
Ho visto spesso citato in questi interventi, il simpatico Bjorn Lomborg, noto come l’ambientalista scettico, che dopo le polemiche per i morti estivi del grande caldo del 2003 (attribuiti al riscaldamento del pianeta) ha ricordato quanti meno morti abbiamo avuto l’inverno successivo proprio grazie alla diminuzione del suo rigore! Sarà senz’altro vero che produrre un’auto elettrica comporta emissioni quasi doppie di quelle che l’auto fa risparmiare, ma ci si dimentica di aggiungere che quell’auto continuerà per molti anni a farle risparmiare, mentre il suo costo di produzione non dovrà essere replicato.
Dall’altra parte della barricata ci sono i produttori del «solare», in particolare quelli del fotovoltaico, che vantano sia l’installazione comunque, in pochi anni, di una potenza di 18 GW, qualcosa di non dissimile da quello che hanno prodotto i tedeschi, cioè i primi della classe, anche loro con incentivi; sia di aver stimolato lo sviluppo di «reti intelligenti», pur avendo prodotto non pochi problemi di gestione al distributore elettrico col riversamento casuale in rete della loro energia; sia, nel frattempo, con l’esaurimento in questi giorni degli incentivi previsti per tutto il 2013 dai limiti annui imposti dal governo Monti, il merito di aver generato oggi e in futuro una non trascurabile base imponibile per imposte dirette ed indirette.
I «paladini del solare» sostengono, infine, che lo scopo degli incentivi era quello di diversificare le fonti e di ridurre la dipendenza geopolitica degli approvvigionamenti, e questo scopo è stato comunque raggiunto. Insomma, mi pare ci siano buone e meno buone ragioni in entrambi gli accampamenti, ma appunto, compito della politica è quello di scegliere, anche guardando al lungo periodo, e solo chi non fa non sbaglia mai.


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