Scuola, ricomincia il disastro

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Strutture fatiscenti, tagli continui, meno ore in classe, discriminazioni nei servizi, bimbi sballottati come se fossero pacchi, docenti precari che guadagnano una miseria. A quattro anni dalla riforma Gelmini, la scuola primaria e secondaria inferiore garantisce sempre meno qualità ed equità, acuisce le diseguaglianze, ruba futuro. E nonostante il ministro Maria Chiara Carrozza abbia posto la questione come una priorità di questo governo e si trovi a gestire politiche precedenti disastrose, il pacchetto da 400 milioni varato oggi con «il ritorno del diritto allo studio», l’eliminazione del bonus maturità, «l’inizio della soluzione per il personale», 26 mila docenti di sostegno assunti, 15 milioni per la lotta alla dispersione scolastica, per i meritevoli, i trasporti e la mensa, è solo un primo passo.

Genitori in crisi
«Paghiamo 30 euro al mese per l’insegnante di educazione fisica e anche per quello di musica, la scuola non ce li ha. E poi la carta igienica, il sapone, il toner per le stampanti, la stampante se si rompe». Valeria è la mamma di un bimbo che frequenta la terza elementare a Porta di Roma, quartiere di recente cementificazione alla periferia della Capitale. Giovani coppie, nella migliore delle ipotesi con un lavoro precario, che si arrangiano a dover pagare quasi tutto per mandare i propri figli a scuola.

«Se c’è qualche famiglia in difficoltà, come è capitato, proviamo a dividere le spese, durante le vacanze di Natale alcuni padri volenterosi hanno imbiancato le classi, non potevano studiare in un posto così, abbiamo comprato anche le tende ignifughe e per fortuna che a cucirle è stata una nonna». I contributi richiesti alle famiglie sono sempre di più. Dalla fotografia scattata in questi giorni da Save the Children sulle condizioni del sistema educativo italiano, quasi l’80 per cento provvede all’acquisto di carta, fotocopie e materiale didattico, poco meno della metà paga per l’insegnamento di materie extra e una su tre anche per quelle curriculari. E ancora, l’impennata dei costi del servizio mensa, con picchi dell’84 per cento in Lombardia, astucci e zaini, più 2,4 per cento, e il problema del caro-libri, anche se oggi è stata approvata la possibilità, stralciata dal governo Monti, di utilizzare quelli usati o di prenderli in comodato d’uso.

Precari a vita
«Sveglia alle 5, dalle 8 alle 11 insegno italiano a Corviale, poi altre due ore di mezzi pubblici, e dalle 13 alle 16 a Ostia». E’ la giornata di Sara, tutti i giorni, quando un posto ce l’ha. «Sono una super precaria, nella terza fascia, quella in cui aspetti la chiamata dell’istituto. E’ svilente per me e un problema per i ragazzi che non hanno un percorso scolastico continuo». Entrare in ruolo è impresa ardua. Graduatorie, punteggi, ricorsi al Tar, sanatorie, criteri privi di selezione se non l’anzianità. Quest’anno ne saranno assunti 11 mila, il 60 per cento ha più di 50 anni. Gli altri, un esercito di 150 mila persone, continueranno a far funzionare la scuola, perché nel nostro paese c’è un organico di fatto e uno di diritto, uno ufficiale e uno reale. E dal Comitato precari si chiedono perché non assumere tutto il personale che di fatto serve, visto che già lo si paga. Inutile una comparazione. Nessun altro paese ha una situazione simile. Nemmeno il miracoloso concorsone di Profumo, bandito dopo 13 anni, si è rivelato utile. Solo una parte dei vincitori sarà assunta quest’anno, perché il ministero ha assegnato un numero di posti insufficiente. Quanto agli stipendi, rimarranno ancora bloccati, alla soglia della miseria. Ferme, ma solo fino a gennaio, anche le assunzioni del personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario), strettamente collegate con la questione degli ‘indionei’, i docenti retrocessi, per problemi di salute, alle funzioni amministrative. Rimango nel limbo per ora gli esodati della scuola, le ‘quote 96’, in attesa di una copertura finanziaria che non si riesce a trovare. E nel frattempo, tuona la FLC CIGL, «sono stati tagliati oltre 130 mila posti».

Al buon cuore.
Flavia soffre di una malattia metabolica rara, deve assumere dosi pesate al grammo, ogni 50 minuti. Pietro (un nome di fantasia n.d.r.) ha una forma grave di epilessia. Flavia e Pietro vanno a scuola, ma ad accompagnarli non c’è alcun assistente materiale. Ad aiutarli è la buona volontà dei loro genitori e il senso di responsabilità dei loro insegnanti. «Per Flavia doveva esserci un’assistente materiale a carico del comune di Napoli, ma non avevano risorse» racconta la mamma, Santina Parrello. «Per fortuna un dirigente me l’ha detto subito quando l’ho iscritta alle elementari. ‘Signora io presento la pratica, ma le indico anche alcuni insegnanti sensibili’. E così è stato. Mi hanno permesso di entrare durante il pranzo, si sono dimostrati disponibili ad aiutarla, anche se non era loro compito». Flavia oggi frequenta la terza media. Inutile dire che l’assistente materiale non si è mai visto. Il papà di Pietro è stato meno fortunato. L’ha trasferito alle elementari cinque volte, poi ha perso le speranze e ha scelto di lavorare dall’auto, parcheggiata davanti al portone della scuola.

Per chi ha invece una disabilità è previsto l’insegnante di sostegno. Oggi sono 63 mila, ma basta entrare in una scuola per capire che spesso si dividono su più alunni, le ore sono ridotte e cambiano in continuazione, creando ulteriore disagio. In 26 mila saranno assunti a tempo indeterminato nei prossimi tre anni, nel frattempo l’unico strumento che resta ai genitori è quello di fare ricorso al giudice per avere un aiuto che gli spetta di diritto. E poi ci sono gli altri, i bambini che soffrono di disturbi dell’attenzione o di iperattività. Per loro non è prevista l’insegnante di sostegno. Li chiamano bisogni educativi speciali, ma per quest’anno non c’è alcun obbligo di programmare gli interventi. Meglio rimandare.

L’anello debole
Bassa qualità e differenze sociali che esplodono. E’ la scuola media italiana. Secondo una ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli, è qui si creano oltre l’80 per cento dei divari sociali nella scuola, diseguaglianze destinate a esplodere alle superiori e nella vita. Insegnamenti enciclopedici ed onnicomprensivi lontani dai bisogni di oggi, preadolescenti a disagio, docenti insoddisfatti che si considerano di serie B e un calo degli apprendimenti significativo.
Stando all’indagine internazionale TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study) i punteggi dalla quarta elementare precipitano in terza media: 9 punti in meno in matematica e una caduta libera di 34 punti in scienze, tanto che un quindicenne italiano su quattro ha competenze minime in matematica, uno su tre al Sud, e il 21 per cento ha valori bassi nei test di lettura. Un declino nei risultati di apprendimento che non accade in nessuno dei paesi presi a confronto e che fa perdere i benefici della scuola primaria italiana, da sempre all’avanguardia. E se gli insegnanti italiani sono già i più vecchi d’Europa, quelli delle medie battono ogni record: oltre il 60 per cento è over 50, non pervenuti quelli sotto i trenta. Un dato ancora più drammatico se confrontato con gli altri paesi Ocse, in cui il 70 per cento ha un’età inferiore a cinquant’anni. E se da un lato avere per i nostri ragazzi, fra l’altro tutti nativi digitali, insegnanti spesso più vecchi dei loro nonni, non sembra una cosa di buon senso, dall’altro è evidente il rischio di saltare un’intera generazione di docenti.

Un giovane su 5 non va oltre la licenza media, con punte di uno su tre nel Meridione. Certo dieci anni fa i dati sulla dispersione scolastica erano peggiori, ma gli altri paesi europei, anche qui, continuano a crescere ad un ritmo diverso dal nostro e, nonostante l’impegno dichiarato dal ministro Carrozza, pare lontano il raggiungimento richiesto dall’Europa di arrivare entro il 2020 almeno al 15 per cento.

Emergenza crollo.
Bambini portati fuori da scuola per il pericolo di cedimento di alcuni pilastri, come è accaduto lo scorso marzo a Torpignattara, a pochi chilometri dal Colosseo e dai palazzi del potere, amianto sopra i tetti, muri fatiscenti, sporcizia, spazi esterni completamente abbandonati, comuni che mettono una toppa e dopo sei mesi si apre una voragine. Fino ai casi più gravi. Ai crolli, ai morti. Secondo i dati forniti dal MIUR, solo il 30 per cento delle strutture ha meno di 30 anni e appena l’8 per cento è stato progettato secondo le normative antisismiche, nonostante l’elevata sismicità del territorio italiano. Un edificio su due, addirittura, non dispone nemmeno di una scala di sicurezza esterna. Guardando solo alle scuole dell’infanzia e primarie, Cittadinanzattiva nel suo ‘Rapporto su sicurezza, qualità e accessibilità a scuola’ che presenterà il 18 settembre a Roma, ha riscontrato che in un caso su 5 i banchi sono danneggiati, oltre il 50 per cento non ha vetrate conformi, nel 16 per cento dei casi l’ingresso all’edificio non è sorvegliato e le condizioni igieniche sono spesso precarie. Una situazione allarmante che ha portato il ministro a impegnarsi con uno stanziamento di 450 milioni di euro e con altri 40 milioni per mutui che le Regioni potranno stipulare con la Bei o la Cassa depositi e presiti nel prossimo triennio, ma per renderli tutti sicuri servirebbero 10 miliardi. La scuola 2.0

Gli edifici sono fatiscenti, ma la scuola italiana punta a colmare l’arretratezza digitale. Wi-fi, banda larga, e-learning, e-book, registro elettronico, lavagne interattive. Ad oggi però le scuole 2.0 sono appena 14 su quasi 9 mila e solo 416 classi su oltre 320 mila del primo e secondo ciclo sono dotate di minicomputer per tutti gli alunni per interagire con la lezione in tempo reale. Una digitalizzazione non per tutti e il disagio non è solo nel meridione: in Friuli Venezia Giulia le lavagne interattive sono poco più di 900 e solo 37 classi su oltre 7 mila si sono informatizzate.

Il costo dell’ignoranza.
L’Italia investe poco e spesso male sul suo futuro. Nel periodo 2008-2011 la scuola ha subito tagli per 8,4 miliardi di euro. Spendiamo il 4,8 per cento del PIL rispetto al 6,3 per cento della media Ocse, l’1 per cento per la primaria e un po’ più del 2 per quella secondaria. Poco se confrontato ad altri Paesi, ma c’è chi come il presidente della associazione Treellle, Attilio Oliva, fa notare che «abbiamo un numero di allievi molto più basso rispetto ad altri e la nostra spesa per alunno è tra le più alte d’Europa, specie nella scuola primaria». Di certo il nostro livello di istruzione è tra i più bassi dell’Unione e un insegnante con 15 anni di esperienza è pagato in media poco più della metà di uno tedesco. Un’emergenza culturale che va di pari passo con la perdita di competitività del Paese.

«C’è stato un grave livello di disallineamento tra numero degli studenti iscritti e numero di insegnanti e personale scolastico, frutto di politiche errate con pesanti conseguenze sul costo globale del servizio, nonostante gli stipendi degli insegnanti italiani siano posizionati nella fascia bassa e il loro lavoro non valorizzato» spiega Oliva, la cui associazione ha redatto un interessante dossier su ‘I numeri da cambiare’. E se, visti i tempi, risulta improbabile un aumento delle risorse, basti considerare che solo per riallineare la retribuzione servirebbero oltre 3 miliardi di euro l’anno, sembra necessario eliminare gli sprechi e pensare, come nota anche Tuttoscuola nelle sue ‘Sei idee per rilanciare la scuola’, a valorizzare la professionalità degli insegnanti, superando la concezione della carriera legata solo all’anzianità, e a una maggior autonomia, valutando i risultati e assumendo più responsabilità. Autonomia che fino ad oggi è stata più che altro anarchia, visto che mancano persino gli ispettori per i controlli. Ne abbiamo uno ogni 200 scuole, in Lazio siamo arrivati al record di uno per oltre 4.600, e pensare che un suo collega francese si limita a controllarne 22. Scuole che dovrebbero essere aperte agli studenti «al pomeriggio e anche fino a fine luglio per offrire agli studenti ‘servizi aggiuntivi’ che oggi le famiglie pagano ai privati: dalle lezioni di musica ai summer camp. Le scuole potrebbero ricavarne fondi da reinvestire, accelerando così la risoluzione del problema dei precari» propongono da Tuttoscuola. Invece di tagliare, offrire di più.


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