Ventisei reti sotto il mare così le spie di Washington pescano i segreti dell’Italia

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ROMA — E’ una terra di nessuno nel fondo buio degli Oceani quella in cui il Datagate si è fatto “tempesta perfetta”. Una rete di cavi sottomarini a fibra ottica che avvolge il pianeta per centinaia di migliaia di chilometri, che lo rende “interconnesso”, trasportando ogni secondo in miliardi di byte la linfa di ogni democrazia, le sue comunicazioni in chiaro, come i suoi segreti industriali, politici, le sue banche dati. E’ qui – come hanno documentato le rivelazioni di Edward Snowden – che l’americana National Security Agency (Nsa), l’inglese Government Communications Headquarters (Gchq) e i loro alleati australiani, canadesi e neozelandesi (la cosiddetta “five eyes network”, la rete dei cinque occhi) hanno frugato per anni nei “metadati” degli “amici europei” esattamente come in quelli dei regimi canaglia. E-mail, tabulati telefonici, chiamate in voce attraverso internet provider, “nuvole” per l’archiviazione dati di massa. E senza distinguo, a quanto pare. In un «lavoro senza guanti» (come dopo l’11 Settembre George W.Bush ebbe ad ordinare ai direttori delle Agenzie di Intelligence) per il quale Angela Merkel e Ahmadinejad, da allora pari sono stati. Obiettivi. Sostengono qualificate fonti della nostra Intelligence e della catena di comando politico-diplomatica della nostra sicurezza nazionale, che questa terra di nessuno, questo garbuglio globale di cavi, «è in realtà la terra del più forte ». Che dunque non esiste Paese europeo che sia in grado oggi di escludere che il traffico di telecomunicazioni generato all’interno dei propri confini nazionali sia rimasto indenne dall’occhio americano o inglese una volta affidato al mare. I 10 miliardi di dollari di bilancio annuale della Nsa (più o meno la nostra ultima manovra di finanza pubblica), il miliardo e 900 milioni di sterline stanziati per lo spionaggio per i prossimi tre anni dal governo inglese, la disponibilità di software (l’americano “Prism” piuttosto che l’inglese “Tempora”) capaci di “processare” semanticamente (e dunque per parole chiave) il traffico dati rubato nella terra di nessuno, rendono infatti il Grande Gioco impari. E l’Italia, con le sue 26 dorsali sottomarine (ne trovate il dettaglio nei grafici di questa pagina, mentre se ne può avere una rappresentazione interattiva nel sito open-source www.submarinecablemap. com), ne è uno snodo cruciale.
Glenn Greenwald, il giornalista americano che ha raccolto per il “Guardian” le rivelazioni diSnowden e che ad oggi resta custode dei segreti non ancora svelati del suo archivio, riferisce all’Espresso nel giugno scorso (il settimanale lo ricorda nel numero di oggi che dà conto del lavoro di intercettazione sui cavi sottomarini di americani e inglesi) che l’Italia e il suo governo non avrebbero avuto destino diverso da quello tedesco o francese. Palazzo Chigi torna a ripetere con una nota al Copasir di non averne avuto evidenze. Esclude “complicità” e nega che la nostra Intelligence possa aver partecipato anche indirettamente al lavoro di intrusione. Ma, con realismo, il Governo evita di dare per certo ciò che non può. Perché la difesa della sovranità nazionale dell’Italia e della sua sicurezza cybernetica si ferma al largo dei nodi della sua rete domestica. Di Mazara del Vallo e di Olbia, di Otranto e Civitavecchia, di Savona e Palermo. Dunque, su un tratto chilometrico assai breve rispetto a quello percorso dalle 26 dorsali di cavi sottomarini che la attraversano.
Di queste, almeno quattro – indicate con gli acronimi FEA (Flag Europe Asia), SeameWe-3, SeameWe4, Columbus III – annodano
l’Europa settentrionale agli Stati Uniti, ai Paesi che affacciano sul Mediterraneo, fino all’Oriente e, in un caso, a Perth, Australia. Quei cavi sono stati attraversati, tanto per dire, dal traffico dati delle Primavere arabe, da quello della caduta del regime libico, dalla guerra civile in Siria. Come dalle divisioni dell’Europa e dalla crisi dell’euro. Due di queste reti transcontinentali attraversano la Manica e transitano per la Cornovaglia. Una ha origine in Germania. Un’altra a Marsiglia. In un network che, non a caso, incrocia i Paesi Europei oggi al centro del “Datagate”. E che, appunto, ne conferma il cruciale valore di “intelligence”.
I 28 mila chilometri di cavi della FEA, i 39 mila di SeameWE-3, i 9833 di Columbus III, i 20 mila di seameWe-4, trasportano i “metadati” di quattro continenti e chi li ascolta succhiandone i segreti, controlla il mondo intero. La loro gestione e dunque l’accesso al loro traffico dati è oggi affidato a consorzi mondiali di società private di telecomunicazione in cui sono presenti operatori inglesi e americani (da Verizon a At&T). Tenuti dalle loro leggi nazionali a inchinarsi di fronte alle richieste della Nsa o del Gchq. L’Italia ha nei consorzi di queste quattro cruciali dorsali marine la sua “Telecom sparkle”, la società controllata da Telecom che gestisce la nostra Rete (l’infrastruttura strategica di cui non più tardi di un mese fa si stava serenamente cedendo in mani estere il controllo) e i suoi dati “nazionali”. Un “gendarme” piccolo piccolo. Sufficiente a poter dire che i nostri segreti restano tali dalle Alpi alla Sicilia. Ma non oltre il Golfo del Leone o l’isola di Malta.


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