Il culto della pistola che gli yankee credono un diritto

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Il Nuovo Mondo, a Nord come a Sud dell’Equatore, fu conquistato e soggiogato con lo schioppo, la pistola e poi il revolver imbracciato. Da qui si deve partire per comprendere l’indistruttibile, inattaccabile, e per noi inspiegabile, culto delle armi da fuoco che imprigiona generazioni dopo generazioni di americani.
Ottantasette persone al giorno — quasi 32 mila all’anno — muoiono sotto i colpi di un’arma da fuoco e 137 — 50 mila all’anno — sono ferite.

Nel 2015, prevede il Centro nazionale di ricerca sulle vittime del crimine, pistole, fucili automatici, fucili a pompa, uccideranno più uomini, donne e bambini di quanti cadano per incidenti stradali. Eppure, mentre le compagnie di assicurazione, la autorità pubbliche, le lobby di cittadini come le «Madri Contro i Guidatori Ubriachi», le case automobilistiche, spingono, lavorano e progettano instancabilmente per limitare i rischi inerenti all’uso di un mezzo utile come l’automobile, ogni spinta per strappare le armi dalle mani dei civili (bambini inclusi) si infrange contro la diga di quella che il storico Richard Hofstadter definì «la cultura delle armi».
E’ un falso di comodo, un luogo comune da giornalismo pigro, spiegare la presa ferrea delle mani americane sul calcio delle loro armi con la lobby dei fabbricanti di fucili e pistole e sui finanziamenti elettorali che la National Rifle Association fa piovere sui candidati amici. L’economia della “sei colpi” o dei fucili automatici esiste, naturalmente, ed è robusta. Lavorano 129.817 rivenditori di armi, negli Usa, uno ogni tremila abitanti. L’industria che le produce, illustrata da nomi storici come la Colt, la Smith & Wesson, la Winchester che inventò il fucile a ricarica rapida che falciò il West, ha un volume d’affari di 31 miliardi di dollari e questo senza calcolare il mercato secondario, di armi cosiddette d’antiquariato o usate. Ma anche questa cifra notevole impallidisce davanti al tabacco e alle sigarette, che la formidabile lobby del fumo non riuscì a difendere dalla rivolta nazionale: in 30 anni, il mercato è sceso da 841 miliardi di sigarette vendute ai 350 miliardi di oggi.
Le lobby sono tanto più efficaci quanto più il loro messaggio tocca corde nei cittadini ai quali si indirizza e fa vibrare sentimenti profondi. Il possesso di un’arma da fuoco non è un piacere dannoso, un vizio voluttuario dal quale sia possibile riabilitarsi. E’ considerato un diritto scolpito non soltanto nella Costituzione, che i Padri Fondatori scrissero pensando a quell’Inghilterra dove possedere un’arma era considerata una salvaguardia contro la prepotenza del Signore e dei suoi scherani, ma nella convinzione che la possibilità di difendersi sia la massima espressione della propria individualità.
Non servono le statistiche, dove si dimostra che il crimine violento è in diminuzione da decenni negli Usa, omicidi con armi da fuoco incluse. Non scuote la “cultura della pistola” neppure la periodica strage di innocenti per mano di lucidi dementi che fanno piovere raffiche su bambini delle elementari, come nella scuola di Newtown, in Connecticut. O la scoperta che centinaia di bambini muoiono per incidenti dovuti ad armi in casa, anche se dotate di sicura. Quei massacri sono letti, e pianti, e commiserati e presto dimenticati, come «il prezzo della libertà», come l’incidente stradale è il prezzo della propria mobilità e autonomia. E i tentativi, blandi e timidi di governi e presidenti come Obama, dopo il puntuale, ricorrente sacrificio sull’altare della pallottola, sono visti come attentati alla “americanità”. L’Obama che vorrebbe intaccare un poco la follia è, implicitamente, un «comunista», un «non americano».
Quando si sparse la voce che la Casa Bianca avrebbe proibito almeno il commercio di armi da guerra, le copie efficientissime dei Kalashnikov, degli M16 in dotazione all’Esercito, e limitato la capacità dei caricatori, quei 129 mila negozi furono svuotati in pochi giorni. Non da cowboy di ritorno, da pistolero, da folli, ma da madri di famiglia, maestre, insegnanti d’asilo, infermiere, medici, avvocati, persone di impeccabile reputazione. Conosco bene, e personalmente, un anziano signore, pensionato di un’agenzia di assicurazione, che possiede, ed esibisce orgoglioso, sessanta tra fucili e pistole e mitragliette. Tutte perfettamente funzionanti e periodicamente revisionate.
Nella irrisolta ambiguità di quel secondo Emendamento della Costituzione, che garantisce il diritto di «portare e possedere armi», ma la precede con «la necessità di una ben regolata milizia per la sicurezza di un libero stato», quel privilegio è considerato da milioni di irriducibili come assoluto. Senza lo schioppi ad avancarica riposto nella madia dei “minutemen”, dei volontari pronti a partire «in un minuto» per la Guerra di Indipendenza, gli Stati Uniti non esisterebbero. Senza i Winchester i Pionieri sarebbero stati alla mercé di Sioux, Cheyenne, Apache, Seminole, Irochesi, di tutte le nazioni di nativi ben più esperti di loro nel maneggiare archi, frecce e accette spaccacranio.
Senza le fonderie e poi gli altiforni della Pennsylvania che vomitavano armi a milioni, il Sud, sostenuto dalle potenze europee, avrebbe spezzato gli Stati Uniti di Lincoln e le Forze alleate non avrebbero sconfitto il nazismo. Già nella Prima guerra mondiale, i soldati del Corpo di spedizione americano gettati senza preparazione sul fronte della Argonne contro i soldati del Kaiser, eccellevano come tiratori individuali, per avere maneggiato fucili nelle loro fattoria, fino dalla prima infanzia. Poligoni di tiro per bambini sono ovunque e una classica strenna natalizia nella zone rurali del Kentucky, del Tennessee, del Texas, dell’Arizona, è il primo schioppetto o la prima rivoltella per i figli. Rosa per la femminucce, azzurri per i maschietti e perfettamente funzionanti e letali.
Il Culto della Colt, l’arma che «pacificò il West» è tessuto nella storia di questa nazione e neppure Obama ha mai osato sfidarlo, limitandosi a rosicchiarne i lembi. Ci saranno altre Virginia Tech, altre Columbine, altre Aurora, altre Newtown, e non è una possibilità, è una certezza. Fino a quando l’ultimo americano vivo strapperà il fucile dalla «fredde mani » dell’ultimo morto, come disse Charlton Heston imbracciando, appunto, un fucile.


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