E ora il governo è pronto a intervenire
ROMA — I principali attori del governo applaudono la decisione della Consulta. Lo fa il Pd, lo fa Angelino Alfano, lo dice anche Letta, durante l’incontro con Van Rompuy, sebbene non ritenga necessario rendere dichiarazioni pubbliche. La soddisfazione del premier è per la decisione, la cancellazione del Porcellum, e per il merito: i due punti bocciati delle legge elettorale.
Cosa farà ora il governo? Alla soddisfazione per la decisione si lega il rammarico per il tempo della stessa: la Corte è arrivata prima del Parlamento ed era quello che si voleva evitare; si rafforzano critiche già previste: Grillo che parla di vulnus istituzionale, altri partiti e una fetta di Forza Italia che scorgono un’ombra su tutte le istituzioni esistenti. Cosa accadrà se il Parlamento, nemmeno questa volta, dovesse darsi una mossa e colmare il buco normativo?
Nel governo non fanno mistero che un’iniziativa dell’esecutivo è ormai più che possibile. C’è ancora una punta di timidezza, «siamo pronti a intervenire se lo chiedessero, vista la materia, i parlamentari», è la linea.
Ma è chiaro che a questo punto ci si attende un’accelerazione reale, subito dopo l’elezione del segretario del Pd.
Nello staff del premier ricordano le parole del capo dello Stato, in Parlamento, all’atto del suo giuramento. Fu applaudito dall’intero emiciclo proprio sull’urgenza di una nuova legge. Più di un ministro non esclude un messaggio alle Camere di Napolitano, mentre interpretazioni di altri membri del governo vedono nella decisione della Consulta uno scenario che potrebbe rendere più concreta una riforma con il doppio di turno di collegio.
Ovviamente ci sarà da registrare l’atteggiamento di Renzi. Ieri Palazzo Chigi ha smentito l’esistenza di accordi fra premier e futuro segretario del Pd sulla legge elettorale. Non c’è un patto non solo perché non c’è ancora un segretario, «ma soprattutto perché non sappiamo con chiarezza cosa Renzi ha in mente». In verità anche Renzi, pare di capire, accarezza l’idea di un doppio turno di collegio, ma forse non basta un titolo per discutere in modo appropriato di riforma elettorale.
Anche per questo, mentre continua a tenersi un passo indietro rispetto alla materia, in omaggio alla competenza parlamentare della materia, Letta stesso ora attende che sia Renzi a ufficializzare una sua proposta, quando sarà eletto segretario: «E una proposta significa qualcosa di articolato, su cui converge l’intero partito; cosa che Renzi farà o dovrà fare, nei prossimi giorni, come prima cosa» riassume chi lavora a fianco del premier.
Del resto l’argomento provoca al capo del governo non pochi problemi collaterali, anche dentro il Consiglio dei ministri: la nuova legge elettorale dovrà essere condivisa almeno dal Nuovo centrodestra di Alfano, dal Pd, dai popolari europei di Mauro e Casini e da Scelta civica. Insomma l’interlocutore di Renzi non è Letta, ma gli alleati del premier, a meno di non voler mettere lo stesso premier in difficoltà. Forse anche per questo ieri, dopo alcune indiscrezioni di stampa, Palazzo Chigi ha smentito accordi con Renzi e Letta si è premurato di chiamare più di un ministro per escludere un suo ruolo diretto nella vicenda.
«Mercoledì chiederò la fiducia in Parlamento per un 2014 basato sulle riforme per rendere l’Italia più competitiva» ha detto ieri Letta, al termine dell’incontro con il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy.
Marco Galluzzo
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