Kiev, amnistia sotto condizione

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Libertà e fedina penale pulita in cam­bio dello sgom­bero degli edi­fici pub­blici occu­pati, a Kiev e in diverse città dell’occidente del paese, inclusa Leo­poli, cen­tro d’irradiazione del nazio­na­li­smo ucraino. È que­sto il senso dell’amnistia «vin­co­lata» offerta da Vik­tor Yanu­ko­vich ai dimo­stranti che hanno preso parte agli scon­tri di que­ste set­ti­mane. Il pre­si­dente l’ha appro­vata il 31 gen­naio, dando a Euro­mai­dan, que­sto il nome del movi­mento che gli si oppone, quin­dici giorni di tempo per porre fine alle occu­pa­zioni.
L’ultimatum si avvi­cina, ma i dimo­stranti e i par­titi dell’opposizione (nella foto reu­ters le pro­te­ste a Kiev), che bol­lano l’amnistia come un ricatto, non inten­dono togliere il disturbo. Dif­fi­cile capire come andrà a finire. Yanu­ko­vich potrebbe sce­gliere la solu­zione di forza. Tra l’altro il governo avrebbe appro­vato in que­ste ore un piano per libe­rare il cen­tro di Kiev. L’alternativa è che arrivi qual­che novità impor­tante dai nego­ziati in corso tra il campo pre­si­den­ziale e le forze dell’opposizione, rap­pre­sen­tate da Arse­niy Yatse­niuk, Vitali Kli­tschko e Oleh Tyah­ny­bok (secondo un quo­ti­diano ucraino il capo dello staff di Yanu­co­vich avrebbe incon­trato Tymo­shenko). Ma le trat­ta­tive, dopo l’approvazione dell’amnistia, pre­ce­duta dalle dimis­sioni del pre­mier Mykola Aza­rov e dalla can­cel­la­zione delle con­te­state leggi «anti-protesta», si sono are­nate.
Non c’è accordo né sulla for­ma­zione del nuovo ese­cu­tivo, pos­si­bil­mente di unità nazio­nale; né su come avviare una riforma della costi­tu­zione, con tra­sfe­ri­mento di poteri dalla pre­si­denza al par­la­mento; né infine sulla pos­si­bile con­vo­ca­zione di ele­zioni gene­rali e pre­si­den­ziali (que­ste ultime pre­vi­ste a feb­braio 2015) anti­ci­pate. Con i due poli dell’Ucraina che non rie­scono a tro­vare una via d’uscita dalla crisi, pare toc­chi alle diplo­ma­zie occi­den­tali e russa dare un qual­che impulso. Il pro­blema è che hanno posi­zioni con­flig­genti. L’Ue ha appena dif­fuso un comu­ni­cato, fir­mato dai mini­stri degli esteri dei 28 paesi mem­bri, in cui si chiede la nascita di un governo inclu­sivo, la riforma costi­tu­zio­nale e le ele­zioni anti­ci­pate. In sostanza si abbrac­ciano espli­ci­ta­mente le istanze dell’opposizione, mostrando un po’ di muscoli. Postura, que­sta, det­tata pro­ba­bil­mente dal recente «fuck the Eu» pro­nun­ciato da Vic­to­ria Nuland, assi­stente al segre­ta­riato ame­ri­cano di stato. Con quell’espressione, il pezzo forte di una sua recente con­ver­sa­zione con l’ambasciatore sta­tu­ni­tense a Kiev, inter­cet­tata e dif­fusa sul web, Nuland aveva auspi­cato di coin­vol­gere nella par­tita ucraina l’Onu, togliendo spa­zio all’Ue. Il motivo è duplice, per la World Poli­tics Review. C’entra l’insofferenza verso il tat­ti­ci­smo euro­peo e c’entra la neces­sità di ras­si­cu­rare – quindi edul­co­rare – Mosca. D’altronde il casus belli del pastic­cio ucraino è stato il pac­chetto economico-doganale offerto dall’Ue nell’ambito della Eastern Part­ner­ship, ini­zia­tiva mirata a raf­for­zare la coo­pe­ra­zione con i paesi ex Urss. Un’ingerenza, secondo Mosca, che può man­dare all’aria la sua Unione eura­sia­tica, pro­getto orien­tato a riag­gre­gare lo spa­zio post-sovietico. L’Ucraina ne è un pila­stro. Putin, così, ha prima indotto Yanu­ko­vich a scar­tare l’offerta con tutta una serie di pres­sioni, con­ce­den­do­gli poi un maxi pre­stito da 15 miliardi di dol­lari affian­cato da ingenti sconti sul gas.
Si dà il caso che Kiev abbia finora incas­sato solo una minima parte di que­sti soldi (tre miliardi). Il resto è stato messo in free­zer dal Crem­lino. Che prima di pagare vuole che Yanu­ko­vich – Putin non lo stima, ma non può farne a meno – riprenda in qual­che modo il con­trollo della situa­zione. E intanto, per farsi capire ancora meglio, ha varato una serie di restri­zioni doga­nali sulle merci in arrivo dall’Ucraina. L’Europa risponde dicen­dosi pronta a com­pen­sare Kiev per i danni che potrebbe subirne, met­tendo sul piatto soldi, in pre­stiti con­cer­tati con il Fmi, a patto che il paese fac­cia riforme serie. In tutte que­ste mano­vre non è dav­vero facile tro­vare un pos­si­bile punto di con­ver­genza che metta al riparo Kiev da sce­nari imprevedibili.


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