Svizzera. Chiamata alle armi del partito xenofobo

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Il tasso di disoc­cu­pa­zione della Sviz­zera è oggi del 4,7%, di poco supe­riore a quello con­si­de­rato fisio­lo­gico e, per­sino tra i gio­vani, metà di quello dell’Unione europea.

Di con­se­guenza, è dif­fi­cile pen­sare che la con­sul­ta­zione abbia avuto ragioni soprat­tutto «razio­nali». D’altronde, che nel refe­ren­dum pro­mosso dall’Unione demo­cra­tica di cen­tro (par­tito popu­li­sta di destra) la xeno­fo­bia abbia un ruolo cen­trale è mostrato dalla pro­pa­ganda pro-quote, in cui gli ita­liani veni­vano raf­fi­gu­rati come topi (con tanto di tri­co­lore) all’assalto del for­mag­gio svizzero.

Quello che scon­certa è che interi set­tori della società sviz­zera (la mag­gio­ranza dei can­toni di lin­gua tede­sca e il Can­ton Ticino, con il suo 70 % di favo­re­voli alla ridu­zione degli ingressi) hanno assunto una posi­zione di chiu­sura, se non di osti­lità, che si pen­sava limi­tata all’estrema destra. E quindi il mes­sag­gio poli­tico che oggi viene dalla Sviz­zera non rivela un’eccezione, ma è una sorta di chia­mata alle armi, a cui Nigel Farange in Inghil­terra e Marine Le Pen in Fran­cia, per non par­lare di ogni tipo di par­tito euro­scet­tico o xeno­fobo, rispon­de­ranno con entusiasmo.

In tutto que­sto c’è natu­ral­mente la paura della crisi (ipo­te­tica, come in Sviz­zera, o attuale, come nel resto del con­ti­nente), ma c’è soprat­tutto il rie­mer­gere di pul­sioni nazio­na­li­ste, ter­ri­to­riali, regio­nali e locali che, sopite per molto tempo, dopo la seconda guerra mon­diale, o con­si­de­rate erro­nea­mente mar­gi­nali, oggi stanno ricon­qui­stando l’immaginario euro­peo. Che un movi­mento demo­cra­tico e «dal basso» come quello di Grillo ospiti que­ste pul­sioni (magari mino­ri­ta­rie, ma radi­cate) dà un’idea del peri­colo rap­pre­sen­tato dal refe­ren­dum sviz­zero, una sorta di mic­cia accesa in tutta Europa.

L’aspetto stra­va­gante della que­stione (almeno per l’Italia) è che le prime vit­time del refe­ren­dum potreb­bero essere i fron­ta­lieri ita­liani, in primo luogo i lom­bardi. E non stu­pi­sce che il pru­dente (e demo­cri­stiano) Maroni sia apparso pre­oc­cu­pato, men­tre l’esagitato Sal­vini pensa di sfrut­tare il refe­ren­dum con­tro i migranti che arri­vano in Ita­lia. Qui non siamo solo di fronte a con­trad­di­zioni di un movi­mento alla ricerca di rilan­cio come la Lega. Siamo davanti a una catena di con­flitti impre­ve­di­bili, e che potreb­bero coin­vol­gere un gran numero di paesi.

In tede­sco la parola Wel­sch (nel senso di «gallo» o «cel­tico») indica chi parla una lin­gua di ceppo latino, ma ha anche il signi­fi­cato spre­gia­tivo di «stra­niero». Così veni­vano chia­mati gli abi­tanti del Tirolo di ori­gine ita­liana. Insomma, signi­fica più o meno «ter­rone». Ebbene, il refe­ren­dum sviz­zero mostra come si è sem­pre ter­roni per qual­cun altro. Tali sono con­si­de­rati i fron­ta­lieri di Como o Varese da quelli che dovreb­bero essere i loro cugini del Can­ton Ticino. E chissà, un giorno, magari gli sviz­zeri potreb­bero essere con­si­de­rati «ter­roni» dai loro cugini tedeschi…

Quelle belle pro­spet­tive, per quanto inne­scate da pre­giu­dizi tipici di chi è legato osses­si­va­mente a un ter­ri­to­rio, non sono estra­nee alla gestione poli­ti­ca­mente insen­sata della crisi eco­no­mica euro­pea. Mol­ti­pli­cando le divi­sioni tra ric­chi e poveri si creano bar­riere sem­pre nuove. I ric­chi con­tro i poveri, i poveri con­tro i pove­ris­simi e così via. Se si con­si­dera che il Nove­cento è stato il secolo in cui i con­flitti nazio­na­li­stici si sono incro­ciati con la più grave crisi eco­no­mica di tutti i tempi, il risul­tato del refe­ren­dum sviz­zero fa venire i brividi.


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