La « class action » che paga

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Più pas­sano i giorni, più la stampa ame­ri­cana tinge di giallo una vicenda che potrebbe essere archi­viata come «scene di lotta di classe nella Sili­con Val­ley». Tutto ha avuto ini­zio con una class action di 64mila dipen­denti delle mag­giori imprese high-tech con­tro un accordo che Goo­gle, Apple, Adobe, Intel, Pixar, Luca­sfilm, Intuit hanno sot­to­scritto segre­ta­mente per non assu­mere dipen­denti delle rispet­tive società offrendo salari più alti.

L’accordo ha preso forma nel 2005 e ha visto come «ispi­ra­tore» Steve Jobs, che in una mail inviata a uno dei fon­da­tori di Goo­gle, Ser­gej Brin, e all’allora ammi­ni­stra­tore dele­gato della società del motore di ricerca, Eric Sch­midt, pro­po­neva il patto, da esten­dere da altre imprese. Cosa poi avve­nuta. I fir­ma­tari si sono atte­nuti ad esso, eccetto una volta, quando un head hun­ter di Apple cercò di assu­mere un dipen­dente di Goo­gle. Il «cac­cia­tore di teste» fu in seguito licen­ziato senza troppi com­pli­menti con tanto di let­tera, segreta, di scuse della Apple. La grande assente nell’accordo è Face­book: non lo ha mai voluto sot­to­scri­vere in nome della libera con­cor­renza per quanto riguarda il «reclu­ta­mento» dei pro­pri dipendenti.

La class action è andata avanti e ha visto un primo pat­teg­gia­mento con Intel, Pixar, Luca­film e Intuit che si sono impe­gnate a ver­sare ai pro­pri dipen­denti 320 milioni di dol­lari. La set­ti­mana scorsa, i restanti par­te­ci­panti alla «class action» hanno invece rag­giunto un accordo con Apple, Goo­gle e Adode, con il ver­sa­mento delle tre imprese, come man­cato aumento dei salari, di 3 miliardi di dol­lari ai pro­pri dipendenti.

La vicenda, che non è certo una novità negli Stati Uniti, dove spesso i con­flitti sin­da­cali assu­mono la forma di con­tro­ver­sie giu­ri­di­che come la «class action», sarebbe stata regi­strata come una delle tante vicende di un set­tore pro­dut­tivo con­si­de­rato stra­te­gico negli Stati Uniti. Ad alzare il livello di atten­zione è stata la morte di uno dei pro­mo­tori della «class action», Bran­don Mar­shall, dece­duto in una col­lut­ta­zione con la poli­zia dopo che era stato fer­mato. Una morte che, secondo la stampa sta­tu­ni­tense, New York Times in testa, pre­senta lati oscuri. Da que­sto punto in poi, la «scena di una lotta di classe» si è tinta di giallo.



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