Si riattiva la crisi in Catalogna, con arresti, nuovi «esili» e scontri

Si riattiva la crisi in Catalogna, con arresti, nuovi «esili» e scontri

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Barcellona. Questa settimana la politica catalana si è improvvisamente riattivata, ma l’incertezza continua a regnare.

Dopo che il giudice che sta investigando i fatti relativi al voto dell’1 ottobre aveva deciso martedì di convocare sei deputati (fra cui ex ministri catalani) a Madrid per venerdì, il presidente del Parlament Roger Torrent ha risposto riunendosi in fretta e furia con i capigruppo e convocando una sessione di investitura per giovedì scorso. Questa formalità era rimasta bloccata da gennaio, dopo che il Tribunale costituzionale aveva minacciato la presidenza del Parlament che una sessione plenaria per votare Carles Puigdemont (il candidato indicato dalla maggioranza parlamentare indipendentista come presidente) sarebbe stata illegale.

SCARTATO PUIGDEMONT, gli indipendentisti, provocatoriamente, avevano indicato come candidato uno dei deputati in carcere, Jordi Sánchez, a cui però – in un atto giudiziario sorprendente – il giudice aveva proibito di recarsi in parlamento a esercitare i propri diritti, stabilendo un precedente giuridico molto pericoloso, considerando che Sánchez è in prigione preventiva e non è ancora stato giudicato (e questo senza entrare nella tipologia di reato, quello di ribellione e sedizione, da molti considerato eccessivo). La situazione a questo punto era rimasta bloccata, fino a che Torrent mercoledì aveva nominato candidato Jordi Turull, uno dei sei imputati, dello stesso partito di Puigdemont e Sánchez, Junts per Catalunya.

Nella consapevolezza che il giudice istruttore era deciso a incarcerare anche loro (oltre ai 4 già in prigione), l’obiettivo indipendentista era che venerdì il giudice si trovasse davanti un presidente eletto. La predilezione del mondo indipendentista per la gestualità prevale sempre sulla pragmaticità. Ma la giocata è stata rovinata dalla Cup, che si è astenuta: in assenza dei due deputati a Bruxelles (gli altri esuli si sono dimessi e sono stati sostituiti, i due deputati in carcere hanno potuto delegare il proprio voto), a Turull è mancata la maggioranza assoluta necessaria per la prima sessione di investitura: 65 No, 64 Sì e 4 astenuti.

LA SECONDA SESSIONE, in cui sarebbe bastata la maggioranza semplice (ma ci volevano almeno o le dimissioni di Carles Puigdemont e Toni Comín, a Bruxelles, o almeno due voti favorevoli della Cup), si doveva tenere ieri mattina. Ma venerdì, come atteso, il giudice Llarena ha sbattuto in carcere tutti gli imputati, tranne la segretaria di Esquerra repubblicana, Marta Rovira, che si è aggiunta agli altri («esuli» secondo loro; «latitanti» per il governo spagnolo), fuggendo in Svizzera. Lei e altre due deputate (ex ministre), subito dopo la sessione plenaria di giovedì, si erano dimesse per poter essere sostituite in parlamento.

Contestualmente ai nuovi arresti, il giudice ha riattivato il mandato di cattura europeo, ritirato a dicembre per paura che i giudici belgi non credessero alla gravità delle accuse e lo bloccassero.

Quindi sono quattro i paesi coinvolti nella faccenda: Comín è in Belgio; Puigdemont è in Finlandia (per una conferenza); Rovira, che non è più deputata, è in Svizzera e Clara Ponsatí (ex ministra, dimessasi come deputata) è in Scozia a insegnare in una università. L’obiettivo dichiarato degli indipendentisti è l’«internalizzazione».

QUALCHE RISULTATO l’hanno ottenuto, con il rapporto di Amnesty che condannava qualche settimana fa gli eccessi polizieschi e giudiziari per l’1 ottobre, e con il comitato dei diritti umani dell’Onu che martedì ha invitato il governo a prendere «tutte le misure necessarie» per garantire che Sánchez «possa esercitare i suoi diritti politici».

La sessione plenaria di ieri (che Pp, Ciudadanos e socialisti volevano non fosse celebrata) si è tenuta lo stesso (i 4 deputati popolari hanno abbandonato l’aula), ed è servita perché i partiti si posizionassero sulla situazione politica. Catalunya en comú, Podemos e Izquierda unida hanno condannato i nuovi arresti. Nelle strade da venerdì notte sono tornate le proteste, con scontri e almeno una ventina di feriti.

ORA ALMENO sono scattati i 60 giorni di tempo per la scelta di un presidente catalano: dopodiché, in assenza di un presidente, nuove elezioni il 15 luglio. Intanto, la Catalogna continua a essere governata dal governo di Madrid da 5 mesi.

FONTE: Luca Tancredi Barone, IL MANIFESTO



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