Kenya. Nessuna traccia dei rapitori della cooperante, Silvia Romano

Kenya. Nessuna traccia dei rapitori della cooperante, Silvia Romano

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Sulla cooperante sequestrata silenzio della Farnesina e ottimismo degli inquirenti locali: ieri 14 arresti

Come di prammatica, il giorno dopo il sequestro di Silvia Costanza Romano, la 23enne cooperante italiana impegnata in un orfanotrofio della contea di Kilifi, in Kenya, da uomini armati che hanno anche ferito due ventenni e tre ragazzini, per la Farnesina è il momento della cautela e del riserbo. Da praticare e imporre a tutti i soggetti coinvolti nel dramma che sta vivendo in prima persona la giovane milanese.

Si cerca di individuare la matrice del gesto e capire se ci sono margini di trattativa. Dopo l’inchiesta aperta dalla Procura di Roma si sono attivati anche i Ros, per offrire collaborazione alle autorità locali, ovvero mantenere un canale aperto con queste, nella speranza di conoscerne le mosse in anticipo.

GLI INQUIRENTI KENYANI da parte loro ostentano ottimismo e promettono celerità: ieri si sono venduti una retata di presunti fiancheggiatori, 14 persone prelevate nella notte di mercoledì tra Chakama, la città in cui è avvenuto il rapimento, e Galana-Kulalu, che si trova nella vicina Tana River County e si pensa sia il luogo da cui proveniva il gruppo di fuoco entrato in azione martedì sera. Sono state ritrovate due moto che si pensa siano state utilizzate nell’attacco e si cerca attivamente un tale Said Abdi Adan, che avrebbe affittato una casa con altre due persone a Chakama e sarebbe sparito subito dopo l’attacco.

Gli attentatori sarebbero sì di origine somala, come concordano tutte le testimonianze, ma non necessariamente jihadisti di al Shabaab. In assenza di una rivendicazione, ieri la polizia sembrava più propensa ad avvalorare la tesi di una banda di criminali comuni. Con un’amara postilla, però: nel caso, l’ostaggio potrebbe essere stato venduto a un’altra organizzazione e trasferito oltre il confine somalo, ben 500 km più a nord. Ma i dubbi e forti sospetti del giorno precedente restano.

A CHAKAMA e in tutta la contea di Kilifi ieri si mescolava la commozione indignata e solidale dei residenti riuniti di fronte all’abitazione da cui è stata prelevata Silvia e sentimenti più minacciosi, con tanto di machete roteanti. Aria di rappresaglia: dei 14 arrestati, tre sono stati sottratti a fatica al linciaggio da parte della folla. Il senso di insicurezza dilaga, così le proteste hanno accompagnato anche le visite delle varie autorità, saldandosi con la crescente ostilità nei confronti delle comunità di pastori oromo e somali, originarie delle zone di confine con la Somalia o immigrate in momenti diversi, percepite come organiche al diffondersi del jihadismo in Kenya. E oggetto ieri, secondo quando riporta il Daily Nation, di minacce e lanci di pietre in tutta la regione.

ALLA VICENDA DI SILVIA ROMANO come prevedibile non si è minimamente accennato a margine della visita ufficiale di tre giorni, conclusasi ieri, del presidente somalo Mohamed “Farmajo”. Malgrado i fondati sospetti che nel caso siano stati i militanti di al Shabaab il collegamento sarebbe garantito. Alla scabrosa essenzialità del comunicato di Palazzo Chigi ieri si è aggiunto via twitter il consuntivo della delegazione somala, appena poco più articolato. E ispirato dall’idea, come scrive Farmajo, di «trasformare le relazioni storiche in partnership economiche vincenti su molti fronti di reciproco interesse».

Il presidente somalo non nasconde di essere a caccia di riconoscimenti internazionali e investimenti entusiasti in egual misura. Chiede all’Italia di seguire  l’esempio della Turchia, dei paesi del Golfo, della Cina e degli Usa. Ma soprattutto Roma continui a fare la sua parte nell’addestramento dei quadri militari somali, per sostenere nei fatti un governo che riesce a controllare a malapena la capitale del paese. Il resto del territorio è ancora in balìa delle bande jihadiste e dei raid dei droni statunitensi. Ieri il 35° dall’inizio dell’anno ha colpito le postazioni di al Shabaab a Harardere, uccidendo – fanno sapere i vertici militari di Us Africom – almeno sette miliziani. È il «processo di pace» a cui si riferiscono Farmajo e i suoi interlocutori internazionali. La speranza è che il rapimento di Silvia Romano non ne sia parte.

* Fonte: Marco Boccitto, IL MANIFESTO



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