Il patto per l’Euro

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Sarà  più difficile per un singolo Paese persistere a lungo in situazioni squilibrate, e capaci di trasmettere gli squilibri agli altri Paesi, perché si è ora accettato un più intenso monitoraggio comune. Se nel nuovo sistema di governance la stabilità  resta indubbiamente l’obiettivo principale, quello della crescita entra in modo più incisivo che nel vecchio patto, il quale solo per omaggio verbale era stato denominato «Patto di stabilità  e di crescita» . Si è capito che una crescita insufficiente, oltre a creare evidenti problemi economici e sociali, è spesso una delle cause più rilevanti degli stessi squilibri finanziari. Nel nuovo «Patto per l’euro» , sottoscritto dai 17 Stati della zona euro ma aperto anche agli altri 10 Stati membri della Ue (6 vi hanno già  aderito), si delineano misure, e procedure di monitoraggio, intese ad accrescere la competitività  e l’occupazione. Rimane però un’asimmetria. Gli interventi che ogni Stato farà , e i risultati che otterrà , in tema di stabilità  (sostenibilità  della finanza pubblica e stabilità  finanziaria) saranno sottoposti a controlli e sanzioni più cogenti di quelli applicabili agli interventi e ai risultati in tema di crescita. È perciò probabile che, in termini di effetti concreti, il nuovo patto conduca a rafforzare più la stabilità  che la crescita. Va comunque dato atto al presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, e a quello della Commissione, José Manuel Barroso, di avere notevolmente migliorato, e reso più accettabile agli altri Stati membri, l’originaria proposta formulata dalla Germania e dalla Francia. Oltre ad essere confuso, quel documento avrebbe avuto una scarsa credibilità . Infatti l’enforcement degli impegni presi sarebbe stato puramente intergovernativo, cioè rimesso al collusivo «scambio di favori» tra Stati membri, senza l’impiego dei poteri della Commissione e della Corte di Giustizia. In più, la proposta veniva proprio dai due Paesi che, dopo essere stati i principali genitori del primo «Patto di stabilità » nel 1997, l’avevano insieme mandato in frantumi nel 2003 quando, trovandosi essi in violazione, avevano esercitato pressioni sufficienti a far sì che il Consiglio Ecofin non seguisse le proposte di ammonimento presentate dalla Commissione. Anche nella versione adottata venerdì, comunque, si pone un problema di credibilità  dell’effettivo enforcement, ma meno che nel progetto franco tedesco.
Due elementi a favore della crescita, introdotti nel nuovo patto, meritano di essere segnalati. Si è finalmente riconosciuto che una delle poche leve concrete— e assistite da veri poteri di intervento della Ue sugli Stati membri — per stimolare la competitività , la crescita e l’occupazione è lo sviluppo del mercato unico. I capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo si sono impegnati a sostenere le proposte che la Commissione — sulla base del Rapporto sul mercato unico, presentato al presidente Barroso nel maggio scorso — si appresta a formulare in aprile nel Single Market Act. Inoltre, nel «Patto per l’euro» , il Consiglio europeo ha aderito per la prima volta alla strategia di coordinamento della fiscalità , con l’impostazione pragmatica— e non antagonistica rispetto al desiderio degli Stati membri di conservare la sovranità  fiscale (che essi, con qualche illusione, pensano di detenere tuttora)— raccomandata nel Rapporto citato. Si apre così un nuovo cantiere che sarà  rilevante per semplificare gli adempimenti fiscali delle imprese, ma anche per porre un argine alla penalizzazione fiscale del lavoro rispetto a fattori di produzione come il capitale che, grazie alla maggiore mobilità , approfittano particolarmente di una concorrenza fiscale incontrollata. Per la crescita, per l’occupazione, per l’equità  sociale e, in ultima analisi, per la stessa accettabilità  dell’integrazione europea da parte dei cittadini, si aprono prospettive nuove. Infine, una considerazione sull’Italia. Per il nostro Paese, il nuovo «Patto per l’euro» comporta l’esigenza di un percorso ancora più risoluto verso il riassorbimento dell’eccesso di debito pubblico, sia pure nel quadro di valutazioni che terranno conto di alcuni fattori compensativi, piuttosto favorevoli all’Italia. E possiamo essere certi che l’Ue sorveglierà  l’adempimento di questa parte del patto in modo più attento e cogente di quanto farà  per gli aspetti pro crescita che pure sono inclusi nel patto. D’altra parte, l’Italia ha bisogno di aumentare la propria crescita più degli altri Paesi, sia perché da molti anni cresce meno, sia perché solo attraverso una maggiore crescita sarà  possibile conseguire il plus di disciplina finanziaria che ci viene richiesto, senza che il Paese sprofondi in un ulteriore differenziale negativo di crescita. Sarà  perciò essenziale «aggrapparsi» il più possibile agli orientamenti che ci vengono dalla «Strategia Ue 2020» e ora dal nuovo «Patto per l’euro» , radicarli pienamente nella coscienza del Paese, trasformarli in stimolo per accelerare le riforme strutturali necessarie. Speriamo che il «Piano nazionale di riforme» , segnalato su queste colonne appena si profilò un anno fa come un riferimento europeo da prendere al volo per indurre il Paese a ragionare sul proprio futuro, venga ora dibattuto largamente e valorizzato pienamente. Manca qualche settimana a fine aprile, scadenza per la presentazione del piano a Bruxelles. Chissà  se, con l’impulso del governo e con l’aiuto delle opposizioni, con l’apporto delle parti sociali e dei media, il Paese riuscirà  ad alzare per un momento lo sguardo, a discutere del proprio avvenire


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