Confindustria e sindacati trovano l’intesa

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Quello che Emma Marcegaglia definisce «l’accordo interconfederale trovato nel tempo più breve da sempre» rappresenta forse una svolta. Perché pone fine a una lunga stagione di guerra tra le parti sociali, e di confusione sulle regole delle relazioni industriali. E perché sembra riproporre una volontà  di protagonismo di Confindustria e Cgil-Cisl-Uil verso la politica in questo difficile momento economico e sociale. Una volta si sarebbe parlato di voglia di «concertazione».

L’intesa firmata ieri nella foresteria di Via Veneto di Confindustria dopo sei ore di trattativa no-stop – che dovrà  però essere validata dal voto dei vari organismi dirigenti sicuramente però non metterà  la parola fine ai conflitti e alle polemiche. Su un versante Emma Marcegaglia, sull’altro Susanna Camusso avranno delle belle gatte da pelare nei prossimi giorni. La Fiat, infatti, non trova nell’accordo interconfederale né l’alternatività  tra contratti nazionali e aziendali, né la conferma della «piena operatività » e validità  generale (anche in vista dei pronunciamenti dei tribunali) degli accordi già  firmati a Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Su questo Emma Marcegaglia è stata chiarissima: «l’intesa non guarda al passato, ma al futuro, opera da domani. Se piacerà  alla Fiat? Con Fiat parleremo, ma l’accordo va nella logica di rendere più esigibili e certi i contratti aziendali». Quelli futuri: la minaccia di uscita del Lingotto da Confindustria potrebbe dunque diventare realtà .

Ma anche la Fiom insorgerà , e in modo veemente. L’accordo non prevede in modo sistematico il referendum dei lavoratori sui contratti nazionali e aziendali firmati dai sindacati. E soprattutto da domani in poi gli accordi aziendali «alla Pomigliano» (sia pure senza tutte le caratteristiche tanto estreme varate negli stabilimenti Fiat, e con limitazioni fissate nei contratti nazionali) diventeranno effettivamente possibili. E non più contestabili, se firmati dalla maggioranza delle Rsu, le rappresentanze sindacali.

Sono, saranno, i problemi dei prossimi giorni. Intanto c’è l’accordo, nove punti che fissano le regole per i contratti nazionali e aziendali «affiancando» l’accordo del 2009 che la Cgil non firmò. E c’è un allegato che riguarda solo i sindacati: prevede che gli accordi generali vengano votati in una «consultazione certificata» da lavoratori e pensionati, come nel 1993 e nel 2007, e delega alle organizzazioni di categoria la definizione di regole per l’elezione delle Rsu e la firma di contratti nazionali e aziendali «in caso di rilevanti divergenze interne». Non sarà  una passeggiata.

Al termine, i commenti dei protagonisti sono tutti positivi. «Sono molto soddisfatta», dice Emma Marcegaglia: «la volontà  è di andare avanti assieme spiega – Credo che abbiamo fatto un passo importante e le parti sociali hanno dato un esempio di responsabilità  e serietà . Ora si chiude una lunga stagione di divisioni e di separatezza tra di noi». Per Susanna Camusso, numero uno della Cgil, «pensiamo di aver dato un contributo in una situazione difficile per rimettere al centro il lavoro e la contrattazione. Cgil, Cisl e Uil hanno definito norme di democrazia e di coinvolgimento dei lavoratori nell’attuazione degli accordi superando una lunga stagione di incertezze. Abbiamo dato un contributo a rimettere il valore del lavoro e la centralità  della contrattazione all’attenzione del nostro Paese e dei lavoratori». «In un momento così delicato per l’economia questo accordo ha un grande, grande valore dice il leader della Cisl Raffaele Bonanni – spero che in questo modo si possa contribuire a ritrovare fiducia nel paese. Un accordo impegnativo e importante che rappresenta anche una occasione di rilancio del movimento sindacale». Per il suo collega della Uil, Luigi Angeletti, è «un accordo molto importante che non serve per regolare i nostri rapporti», ma è stato firmato «nell’interesse dei lavoratori, dimostrando che le regole scritte lontano dai posti di lavoro hanno esaurito la loro funzione». Spara a zero invece Giorgio Cremaschi, presidente del CC della Fiom: «è un accordo che estende a tutti i lavoratori il modello Fiat, è un cedimento gravissimo della Cgil che contrasteremo in Cgil, nelle fabbriche e nel Paese».

Accordi e referendum Ecco tutte le novità 

Da scrivere le norme per superare i dissensi sui contratti

L’ accordo firmato ieri non cancella ma integra l’accordo sul modello contrattuale del 2009. Di fatto la Cgil rientra formalmente in quel sistema. Vero è che con poche eccezioni (metalmeccanici e commercio) tutti i contratti siglati dopo sono stati firmati dalle tre sigle rispettando solo in parte le regole del 2009.

I contratti nazionali

Resta fermo il loro ruolo centrale e la non alternatività  con i contratti aziendali. Stabiliscono salari e normative per tutto il settore, e gli ambiti possibili in cui i contratti aziendali possono stabilire deroghe. Si possono firmare o non firmare, come oggi, ma il «peso» dei vari sindacati verrà  certificato dall’Inps che conterà  formalmente il numero degli iscritti alle varie organizzazioni (ponderato con i voti presi alle elezioni delle Rsu). Per sedersi al tavolo un sindacato deve avere almeno il 5% dei lavoratori del settore.

I contratti aziendali

Una volta approvati valgono per tutti i lavoratori e vincolano le organizzazioni aziendali di Cgil-Cisl-Uil. Se stabiliscono clausole di tregua sindacale, le Rsu e i sindacati (ma non i singoli lavoratori, che possono sempre scioperare) devono rispettarle.

Approvare gli accordi aziendali Sono validi se approvati dalla maggioranza dei rappresentanti eletti nelle Rsu. In aziende dove ci sono solo le Rsa (nominate e non elette) sono validi se approvati dai sindacati che hanno la maggioranza degli iscritti certificati dall’azienda. E se un sindacato con il 30% degli iscritti non ci sta, si va al referendum tra tutti i lavoratori.

Deroghe dei contratti aziendali Anche «in via sperimentale» si possono prevedere modifiche rispetto ai contratti nazionali per «specifiche esigenze produttive». Se i contratti nazionali non fissano le regole, per situazioni di crisi o nuovi investimenti (tipo Fiat) si possono stabilire deroghe anche su orari, prestazioni e salario. Ma serve l’accordo dei sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil. Dunque, si possono fare «contratti Pomigliano»; ma devono essere tutti d’accordo.

E se non sono tutti d’accordo?

Il tema resta aperto: i sindacati di categoria, settore per settore, dovranno fissare le regole per fare le piattaforme, far approvare le intese ai lavoratori, e coinvolgerli «in caso di rilevanti divergenze» tra i sindacati.


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