Il bloqueo delle trivelle

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L’AVANA  – Nel braccio di ferro ingaggiato dai repubblicani della Florida per impedire le perforazioni petrolifere nelle acque cubane circa 80 chilometri a sud di Key West ora è entrata la Cina. Il 5 giugno all’Avana, nel corso della vista nell’isola del vicepresidente cinese Xi Jimping, la compagnia statale cinese Cnpc ha firmato con la cubana Cupet una serie di accordi che prevedono anche «la cooperazione per esplorare e sviluppare nuovi blocchi petroliferi nella costa (onshore) e nelle acque (offshore) di Cuba».
La Cnpc è un socio strategico per Cuba. Dall’agosto 2005 – da quando ha iniziato la sua attività  nell’isola – la compagnia ha scavato 63 pozzi nella costa cubana che va dall’Avana dell’est a Varadero, estraendo – tra petrolio e gas – 13 milioni di barili equivalenti. L’anno scorso la Cnpc ha vinto un contratto per espandere da 65mila a 150mila barili al giorno la capacità  produttiva della raffineria di Cienfuegos (proprietà  della Cupet e della venezuelana Pdvsa). Il progetto è finanziato da banche cinesi, che hanno come garanzia una quota della produzione di greggio venezuelano. Il Venezuela dipende infatti soprattutto dagli Usa per raffinare il suo greggio e il governo cubano ha un disperato bisogno di valuta per affrontare la dura crisi economica.
Fino a qualche giorno fa, però, la Cina non aveva voluto mettere apertamente i piedi in un piatto assai difficile da gestire, come le perforazioni petrolifere a un tiro di schioppo dal territorio della Florida. Che cosa ha fatto cambiare idea ai manager di Pechino? Il fatto che nelle acque cubane vi sia un’importante riserva di greggio (20 miliardi di barili secondo la Cupet, circa 5 miliardi secondo fonti Usa) è noto da qualche anno. La novità  è che la compagnia spagnola Repsol, che da anni si è aggiudicata i diritti di ricerca, perforazione ed estrazione nella zona ha resistito a tutte le (forti) pressioni esercitate dagli Stati uniti, e probabilmente entro settembre inizierà  le perforazioni con una piattaforma semisommersa, la Scarabeo 9, affittata dall’italiana Saipem. La medesima piattaforma (che non viola il cinquantennale embargo statunitense perché adotta meno del 10% di componenti made in Usa) sarà  poi passata ad altre nove compagnie petrolifere della cordata interessata alle perforazioni nei blocchi cubani. Tra le quali, appunto, la Cnpc.
La Repsol ha respinto l’ultima offensiva messa in atto dal senatore della Florida, Bill Nelson, il quale il 19 maggio aveva inviato una richiesta scritta alla segretario di Stato Hillary Clinton per chiedere che la Casa Bianca intervenisse direttamente non solo sulla compagnia (come avvenuto in passato, utilizzando anche la Sec, il regolatore della Borsa statunitense, dalla quale la Repsol ha deciso di uscire), ma anche sul governo Zapatero affinché la compagnia petrolifera congelasse le perforazioni in acque cubane. L’argomentazione forte di Nelson era che probabilmente nelle elezioni politiche spagnole l’anno prossimo vinceranno i popolari, «meno inclini» dei socialisti a sostenere investimenti a Cuba e, come a suo tempo fece il premer Aznar, molto più disposti di Zapatero a seguire la linea dettata da Washington.
La settimana scorsa il segretario Usa per gli affari interni Ken Salazar – controlla le licenze per prospezioni e perforazioni nella acque statunitensi del Golfo del Messico – si è recato a Madrid per una missione ufficiale che comprendeva anche la questione del greggio cubano. La compagnia spagnola ha però confermato che intende andare avanti. Venerdì scorso, nel corso di una conferenza stampa da Madrid, Salazar ha informato che «la Repsol ha assicurato il governo americano che seguirà  – di propria volontà  – gli standard di sicurezza richiesti dagli Usa quando inizierà  le perforazioni» in acque cubane. «Li terremo sotto controllo», ha comunque minacciato il sottosegretario, visto che la Repsol è in attesa che il governo Usa autorizzi 20 progetti di prospezioni nelle acque americane del Golfo del Messico.
L’ingerenza del gigante americano nel centro e sud del continente americano è materia corrente. Altro discorso per i governi alleati europei, il che indica il grado di preoccupazione dell’amministrazione Obama. L’argomento utilizzato è il pericolo che, in caso di incidente, i cubani non abbiamo capacità  e mezzi per impedire un disastro ecologico, che ricadrebbe direttamente sulla Florida. Preoccupazioni che – secondo associazioni di Verdi statunitensi – dovrebbero indurre Washington a un dialogo con l’Avana per affrontare il problema, e non a cercare di impedire che venga estratto il greggio dai cubani. Le intenzioni dei repubblicani sono invece apertamente politiche. «Impedire che il regime di Cuba diventi il tycoon petrolifero dei Caraibi», è l’argomento sollevato dall’anticastrista storica Ileana Ros-Lehtinen, presidente della Commissione esteri del Congresso, per giustificare la presentazione di un nuovo progetto di legge per rendere più restrittive le norme dell’embargo anti-Cuba che riguardano le prospezioni e per tentare di impedire le perforazioni a sud della Florida.


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