I diritti delle minoranze

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Il concetto di “minoranza” non è semplice come sembra. Non bisogna pensare solo alle minoranze (o maggioranze) parlamentari, ma a tutte le varie minoranze che coesistono in una società : politiche certo, ma anche etniche, religiose, sociali, sessuali, linguistiche. Gli studiosi sono d’accordo, in linea di massima, su questo principio: una società  è tanto migliore quanto più riesce a conciliare le varie minoranze, compresi i rapporti di queste con la maggioranza. Se i rapporti politici maggioranza-minoranza sono importanti, ancora di più lo sono i diritti degli individui o dei gruppi minoritari. Questi diritti sono spesso definiti oltre che dalla sensibilità  propria di un luogo e di un’epoca, da concezioni morali o religiose (o entrambe) prevalenti in un momento dato in una certa società , i romani la chiamavano “communis opinio”. Poiché le morali e le religioni sono numerose, è concreto il pericolo che una maggioranza voglia imporre la sua visione morale come imperativa per tutti. Viene da qui un principio che comincia a farsi strada a partire dal Settecento: i diritti delle minoranze vanno tutelati.
Il pensatore francese Alexis de Tocqueville (1805-1859) è stato tra i primi (se non il primo in assoluto) ad occuparsi di questo particolare aspetto della convivenza democratica. Nel suo famoso saggio La democrazia in America, Tocqueville (Raymond Aron lo considera uno dei fondatori della sociologia) descrive la società  americana nonché i meccanismi della sua democrazia largamente improntata a criteri di uguaglianza. Ovviamente li apprezza ma non si nasconde i pericoli. Scrive: «Vedo chiaramente nell’eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l’altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se a tutte le varie potenze che hanno impedito o ritardato lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere». Compare qui l’espressione “potere assoluto della maggioranza”, altre volte indicata come “tirannia della maggioranza”, centro di ogni riflessione sulle “minoranze”.
Tocqueville era di educazione liberale, dunque apprezzava la democrazia moderna come si andava lentamente configurando anche in una parte dell’Europa. Per questo si poneva il problema dell’equilibrio tra la libertà  degli individui (tanto più se esponenti di una minoranza) e il potere, sia pur democratico, dello Stato. Una sua efficace metafora per indicare la “tirannia della maggioranza” resa possibile dall’uguaglianza democratica è la seguente: «Quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m’importa di sapere chi è che mi opprime né sono più disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge».
Con quali strumenti dunque si possono tutelare le minoranze? Per tentare di rispondere è necessario riportare alla memoria alcuni criteri di funzionamento della complessa equazione maggioranza/minoranza. Tutti gli organismi collettivi, da un’assemblea di condominio in su, si basano sulla regola generale che le decisioni vengono prese a maggioranza. Ma poiché esistono diversi tipi di maggioranze, esistono di conseguenza anche diversi tipi di minoranze. Una maggioranza è semplice quando una proposta ottiene un numero di voti superiore a quelli di ogni altra proposta. Mettiamo per ipotesi una piccola assemblea composta di venti individui nella quale siano state avanzate quattro diverse proposte. La prima proposta ottiene 8 voti, la seconda 7, le rimanenti 3 e 2. Vince la prima proposta anche se con un’apparente ingiustizia dal momento che il numero dei dissenzienti è chiaramente superiore: 12 contro 8. Se però la regola era un voto a maggioranza semplice gli 8 voti uniti bastano per battere i 12 divisi.
Nella pratica sono previsti anche altri tipi di maggioranze. C’è maggioranza relativa quando un’opzione viene appoggiata della metà  più uno dei votanti. Nel nostro esempio, se sui 20 membri previsti ne sono presenti 18: 10 contro 8. La maggioranza relativa è utilizzata in Parlamento per le deliberazioni ordinarie. L’art. 64 della Costituzione detta: «Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale». La maggioranza è assoluta quando ottiene la metà  più uno dei voti non dei presenti ma degli aventi diritto. Nell’esempio dei famosi 20, almeno 11 voti. C’è poi il caso delle maggioranze dette “qualificate” o “speciali” per decisioni di particolare importanza che devono rispondere a un certo quorum prefissato: 3/5, 2/3, 3/4 eccetera.
Esco dal comodo esempio della piccola assemblea di condominio per passare alla realtà . I tre referendum celebrati di recente, hanno visto una percentuale di votanti pari al 57 per cento. Di quel 57, il 95 per cento s’è dichiarato a favore dell’abrogazione delle leggi in discussione. Se invece del 57 avesse votato il 49 per cento, i referendum non sarebbero stati validi. Ma il 95 per cento del 49 per cento, al netto degli astenuti fisiologici, sarebbe stata comunque la maggioranza degli elettori reali. Il cui parere però sarebbe risultato ininfluente data la regola del quorum.
Un precedente ancora più esplicito è il referendum fallito del 18 aprile 1999 sull’abrogazione della quota maggioritaria. Alla consultazione parteciparono il 49,7% degli elettori che si espressero al 91 per cento in favore del «sì» al cambiamento. In quel caso mancarono 150 mila voti per raggiungere il quorum. Mancarono però solo in apparenza perché come poi si scoprì ad alzare il quorum avevano contribuito liste “gonfiate”.
Ciò che voglio ribadire è che stabilire i concetti di maggioranza e di minoranza è una faccenda complicata. Anzi, più che complicata opinabile e cioè, data la materia, politica. Già  da questi cenni si può capire quanto avesse ragione Tocqueville. La volontà  della maggioranza, che può addirittura diventare una finta maggioranza, può facilmente trasformarsi in tirannia e violenza soprattutto quando si tratta di decisioni che riguardano non le linee generali di una politica ma quella delicatissima materia che sono i diritti degli individui.


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