Italia, spread ai massimi e nei conti del Tesoro si apre un buco di 4 miliardi

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ROMA – L’Italia torna nell’angolo. A tenerla sotto pressione, oltre alla instabilità  politica del governo Berlusconi, la tensione sui mercati e sulle Borse: ieri lo spread Btp-Bund ha raggiunto quota 338 mentre Piazza Affari ha lasciato sul terreno nell’ultima settimana il 5,28 per cento (ieri lo 0,67%). La preoccupazione cresce perché si calcola che la fiammata dei tassi d’interesse peserà  almeno 3,6 miliardi sul bilancio pubblico di quest’anno, mentre le stime del Pil si stanno riducendo.
A pochi giorni dall’appello lanciato da banche, imprese e sindacati sotto la parola d’ordine della «discontinuità » e dopo il varo della manovra da 48 miliardi, operatori e centri studi rifanno i conti. A far paura è la ripresa di settembre: il terzo trimestre, quello estivo, porterà  una bruttissima sorpresa. Se si avvereranno le stime del centro studi Ref tra luglio e settembre il Pil tornerà  con il segno «meno» (per la precisione -0,1 per cento). Un valore «negativo» che non si vedeva dalla seconda metà  del 2009, sull’effetto della crisi dei subprime e il fallimento di Lemman Brothers. Un effetto a “W”.
Ora la variabile che rischia di aprire una nuova posizione critica nei nostri conti è quella tassi d’interesse. Speculazione e attacchi ai Btp italiani hanno portato lo spread, cioè quanto lo Stato paga di più d’interesse sui Btp decennali rispetto ai Bund tedeschi, al 3,4 per cento. Autorevoli centri di ricerca hanno calcolato che, fin da quest’anno, facendo una stima prudenziale di un aumento medio del 2,5 per cento, considerando scadenze e rinnovi a lungo termine e a breve, il costo sarà  di 3,6 miliardi di euro, ovvero la spesa per il servizio del debito pubblico salirà  dai 72 miliardi stimati ai 75,6 miliardi. Come se la crisi si fosse mangiata il 7,5 per cento della manovra recentemente varata. O il triplo di quanto renderà  l’intervento sulle pensioni a regime nel 2014.
Tornando al quadro della crescita, che in queste ore gli analisti studiano, è piuttosto preoccupante: mentre per il 2011 il governo è ancora attestato ad un ottimistico 1,1 per cento, i centri studi italiani, più vicini alle dinamiche del paese, dopo la manovra, vedono nero: il citato Ref parla dello 0,7 per cento, Prometeia dello 0,9 e la Confindustria dice, che in assenza di riforme sul lato dell’offerta, il prossimo anno ci arresteremo allo 0,6 per cento.
Crescite assai fiacche se solo si pensa che quest’anno la locomotiva tedesca arriverà  al 3,5 per cento, la Francia al 2,2 e la media dell’Unione sarà  il doppio dell’Italia, 1,9 per cento. La Banca d’Italia continua a ricordare che dei 7 punti di Pil persi dall’estate del 2009 solo 2 sono stati recuperati. Troppo poco. Tanto più che, ha detto Via Nazionale, in una audizione di Ignazio Visco, nell’aprile scorso, ogni taglio di un punto di spesa pubblica significa mezzo punto di Pil in meno in due anni.
A condizionare l’economia c’è la manovra 2010, che morde su questo, e il recente intervento per il pareggio di bilancio al 2014. Entrambe le misure hanno bloccato gli stipendi degli statali, tagliato le spese a Regioni e Comuni costringendole ad aumentare tasse locali, ticket e tariffe. Dalla Tarsu, alle addizionali Irpef alla Rc auto. Le previsioni parlano di crescita zero nel prossimo biennio del reddito reale disponibile delle famiglie.


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