Il vero problema è la stagnazione

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 Apparentemente, l’amministrazione Obama ha una nuova gatta da pelare: il declassamento del debito federale da parte dell’agenzia Standard & Poor’s da «AAA» al più modesto «AA+». Le altre due agenzie di rating, Moody’s e Fitch hanno lasciato immutata la loro valutazione. Benché sia la prima volta che accade, è improbabile che nel breve periodo la cosa abbia conseguenze pratiche perché i buoni del tesoro americani sono ancora considerati dagli investitori un bene rifugio, soprattutto a causa delle turbolenze della zona euro. Poiché i bond tedeschi o svizzeri rendono poco o nulla, il 2,56% offerto dai buoni del tesoro americani a dieci anni è un rendimento interessante.

In realtà , il problema non è il declassamento bensì la stagnazione dell’economia americana, che i risultati modestamente positivi sul fronte del mercato del lavoro annunciati venerdì non possono certo nascondere. Gli Stati Uniti non sono ancora entrati in una nuova recessione ma solo perché gli effetti della dissennata politica deflazionista imposta dai repubblicani non si sono ancora fatti sentire. Lo scenario più probabile è quello di una prolungata stagnazione con una disoccupazione che oscilla attorno al 9%.
Questa situazione è il risultato di vari fattori, alcuni di lungo periodo come la diminuzione dei salari reali dei lavoratori dipendenti non laureati, altri interni alla crisi dei mutui del 2008 e altri ancora legati alle scelte politiche fatte negli ultimi tre anni. Il punto di partenza dev’essere l’aumento della disuguaglianza: storicamente, la parte di reddito nazionale degli Usa che andava in salari e stipendi non è mai scesa sotto il 50% ed era ancora al 60% nel 1975. Da allora è iniziato un precipitoso declino (brevemente interrotto durante l’amministrazione Clinton) che ha portato i redditi da lavoro al 49,9% nel 2010 e al 49,6% quest’anno. Il salario mediano dei maschi americani è calato del 28% al netto dell’inflazione tra il 1969 e il 2009.
La risposta delle famiglie è stata l’indebitamento, di cui la crisi dei mutui subprime è stata il momento rivelatore: la speculazione ha avuto un ruolo nel determinare la forma che ha preso la crisi nel 2008, ma il problema di fondo era l’indebitamento insostenibile delle famiglie americane, non solo per la casa ma anche nei confronti delle carte di credito e dei prestiti concessi agli studenti per pagarsi l’università . Ma l’indebitamento, come ha dimostrato il Giappone negli anni Novanta, ha bisogno di anni per essere riassorbito.
Se gli interventi di emergenza del governo e della Federal Reserve hanno salvato le banche, la mancata soluzione del problema della casa, che appare evidente nel fatto che i prezzi delle case continuano a scendere, agisce come un freno a mano tirato sull’intera economia. Oggi l’offerta di case supera di gran lunga la domanda perché ci sono 3 o 4 milioni di case pignorate a chi non ha più la possibilità  di pagare il mutuo che le banche hanno rimesso sul mercato.
A tutto questo si è aggiunta l’inettitudine dell’amministrazione Obama, che ha subito quasi senza combattere il programma dei repubblicani di ridurre le spese federali a qualsiasi costo. I singoli stati, nel frattempo, discutono di come potrebbero legalmente dichiarare bancarotta e licenziano pompieri, poliziotti, insegnanti e bibliotecari per tappare in qualche modo i buchi di bilancio. Tutto questo equivale a curare il malato praticandogli un energico salasso, come i barbieri-chirurghi del Settecento.
Naturalmente, un organismo robusto come quello dell’economia americana può resistere anche all’applicazione delle sanguisughe ma certo questo non agevolerà  la guarigione, tanto più che la politica resterà  paralizzata per i prossimi 16 mesi a causa delle elezioni presidenziali nel novembre 2012. Standard’s & Poor ha citato esplicitamente la polarizzazione politica come ragione principale del suo declassamento del debito.
Lo scenario più probabile, forse inevitabile, è quello di una stagnazione pluriennale dovuta essenzialmente alla sfiducia e all’incertezza: sfiducia da parte delle famiglie che vedono la disoccupazione rimanere alta e vedono restringersi la rete di sostegno del welfare proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno. Tutto questo mentre devono pagare i debiti accumulati negli anni scorsi. Incertezza da parte delle imprese, che sono riluttanti a investire perché non vedono vie d’uscita in tempi rapidi e non possono contare su una rapida ripresa dei consumi.


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