Liberiamoci dall’«ideologia del capo»
Credo che quasi tutti, anche a sinistra, convengano che il Paese avrebbe bisogno non solo di un governo credibile, ma anche, stabilmente, di una destra politica seria, in grado di proporsi come alternativa ragionevole e non «apocalittica» ad una sinistra a sua volta capace di offrirsi credibilmente come alternativa ragionevole e non «apocalittica» a quella destra; avrebbe bisogno di una destra e di una sinistra che siano anche capaci, al bisogno, di concordare e di decidere se vi sono necessità politiche straordinarie da affrontare insieme per il Paese.
Che cosa ostacola oggi la formazione di un sistema politico cosiffatto in Italia (in altri periodi della nostra storia repubblicana, nonostante tutto, non è stato così: pensiamo a ciò che accadde, ad esempio, quando il Paese dovette affrontare il fenomeno del terrorismo interno)?
Le cause sono certamente molte, ma vorrei segnalarne una, «ideologica», che a me pare del massimo rilievo. Da un ventennio circa, partendo dalla giusta aspirazione ad avere una «democrazia dell’alternanza» anche in Italia — e forse non accorgendosi in tempo che le vere premesse di questa evoluzione ci erano offerte dalla storia, con la caduta del muro di Berlino — si è sostenuto da molte parti (a destra e a sinistra) che per ottenere questo risultato occorreva superare il sistema parlamentare, nel quale i cittadini eleggono le assemblee rappresentative, e in queste, sulla base dei risultati elettorali, si forma la maggioranza che sorregge il governo, fino al giorno in cui essa cambia orientamento o si dissolve; se poi la maggioranza viene meno e non si riesce a formarne in Parlamento un’altra che interpreti meglio le aspirazioni degli elettori, si va di nuovo a votare. Si è sostenuto che il voto dei cittadini deve invece direttamente esprimere l’esecutivo o meglio il suo capo: e quindi l’elezione delle Camere non serve tanto per dar vita ad assemblee rappresentative che riflettano gli orientamenti dell’elettorato quanto per «blindare» in Parlamento il consenso personale ottenuto dal leader che vince le elezioni, assicurando il sostegno parlamentare alle sue decisioni. La vera, unica decisione popolare è quella di eleggere un leader e uno solo.
Gli effetti li vediamo. A destra, con ciò che segnala Galli della Loggia: nel partito finora di maggioranza «il momento cruciale della politica», quello delle scelte, è finora «riservato al capo e ai suoi fidi». A sinistra, con la perenne ansia di trovare non un programma comune o una ragionevole articolazione di indirizzi, ma un leader da contrapporre a quello della destra. I partiti non hanno, essenzialmente, programmi e politiche, hanno un leader «indiscusso» (non solo il Pdl, ma anche la Lega, per esempio) e se non ce l’hanno sembra un segno di debolezza (il Pd, il cui statuto risente a sua volta di questa «ideologia del capo»). Abbiamo invece bisogno di partiti veri, che discutano e decidano, non solo che abbiano o designino un capo. Abbiamo bisogno di elezioni vere, non di un concorso di bellezza fra leader; di alternanze o di convergenze politiche, a seconda delle circostanze, non di un bipolarismo «coatto» a prescindere dalla qualità dei «poli». Ecco perché l’attuale sistema elettorale (che premia non la maggioranza ma la minoranza più forte, costringe a fare coalizioni «preventive» e le obbliga a designare formalmente un candidato premier) è il meno adatto alle nostre necessità .
* Presidente emerito Corte costituzionale
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