L’ultima sfida dei pastori sardi “Giù le mani dalle nostre fattorie”

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ROMA – Hanno dispiegato un cordone di sicurezza impenetrabile. Hanno assediato la zona con camionette, elicotteri, poliziotti, guardia di finanza. Hanno fatto irruzione e li hanno catturati. A essere trascinati via dalla loro casa, a Terra Segada, nel Sulcis Iglesiente, non sono stati i capi di una cellula terroristica ma la famiglia di Angelo Sairu, agricoltori colpevoli di non conoscere le trappole della finanza internazionale e di essersi fidati degli amministratori locali. Più di 10 mila coltivatori e pastori si trovano nelle stesse condizioni a causa dei debiti contratti con le banche: rischiano di perdere tutto, di dover lasciare le loro terre agli speculatori che, sostenuti dalle promesse di condono, già  pianificano il sacco di intere aree della Sardegna.
Il conto presentato dalle banche nel 2011 si riferisce a una vicenda antica. Nel 1988 la Regione Sardegna promosse, con la legge 44, prestiti agevolati per rilanciare l’economia interna, per permettere a chi faticava nei campi di comprare una mungitrice o di rifare il tetto alla stalla. Un’intenzione buona, ma incompiuta: i funzionari dimenticarono che l’Italia fa parte dell’Europa e che bisognava verificare la compatibilità  della norma con il quadro legislativo comunitario. Nel 1994 l’Unione europea ha bocciato la legge considerando illegittimi gli aiuti economici.
Da allora è cominciato il calvario che ha spinto i pastori allo sciopero della fame, al «movimento dei forconi», agli scontri del dicembre scorso con la polizia a Civitavecchia. «L’errore commesso dalla Regione nel 1988 ha portato a quadruplicare i tassi di interesse, con debiti cresciuti in maniera drammatica», precisa Paolo De Castro presidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo. «Tra il 2007 e il 2008, quando ero ministro delle Politiche agricole, assieme all’ex presidente della Regione Sardegna Renato Soru eravamo arrivati a delineare un’intesa con le banche per superare il problema. Cambiati governo centrale e regionale, la possibilità  è sfumata».
«Noi non ci arrendiamo: la militarizzazione della Sardegna è inaccettabile», accusa Felice Floris, leader del Movimento dei pastori. «Sono stati i funzionari della Regione a sbagliare, non noi: perché non chiedono i soldi a loro? È una vergogna assediare le fattorie con gli eserciti. Magari per poi girarle, con vendite pilotate, agli speculatori che vogliono massacrare l’isola».
Mentre le campagne sarde rischiano di essere svendute all’asta, la tensione continua a crescere anche perché ai vecchi debiti se ne aggiungono di nuovi. Quelli derivanti dall’offensiva lanciata da Equitalia: un’ondata di contestazioni fiscali, in molti casi discutibili, che portano a sequestri anche di prime case condotti a tempo di record, nell’arco di poche settimane, prima che un giudice riesca a pronunciarsi su un eventuale ricorso.
«I cannoni di Equitalia sono puntati su 80 mila aziende e partite Iva: credo che molto presto la rabbia esploderà  con forza perché la situazione è insostenibile e già  sette persone si sono impiccate per la vergogna di assistere alla distruzione di quel piccolo benessere che avevano ereditato dai padri e dai nonni», spiega Gavino Sale, presidente di Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna. «E la minaccia va oltre il rischio dei singoli. Ci sono vicende bancarie molto oscure e migliaia di ettari che fanno gola agli speculatori: proprietà  anche sulla costa che possono essere comprate a 1 e rivendute a 10 o 20».
«La Sardegna possiede un patrimonio straordinario non solo in termini di bellezza ma anche di potenzialità  economiche legate al cibo di eccellenza, alla qualità  dell’artigianato, all’espansione di un turismo soft», osserva il presidente onorario del Fai Giulia Maria Mozzoni Crespi. «Non si può utilizzare la vicenda dei debiti per far saltare gli equilibri sociali e ambientali dell’intera isola».


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