Egitto, El Baradei non si candida “Il vecchio regime ancora in piedi”

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GERUSALEMME – Ha lasciato la corsa alle presidenziali denunciando che la rivoluzione che ha rovesciato Hosni Mubarak un anno fa non ha cambiato l’Egitto, il Consiglio militare che ha preso il posto del raìs ha seguito una politica repressiva, segnata da violenze, provocazioni, assassinii, processi sommari ai rivoluzionari davanti ai temibili tribunali militari. Per questo Mohammed El Baradei, l’ex direttore dell’Aiea, figura simbolo della rivoluzione del gennaio 2011 e candidato alle presidenziali, ha annunciato il suo ritiro dalle elezioni. «L’ancien régime – dice il Premio Nobel per la pace rivolto alla Giunta militare – non è caduto». La mossa di El Baradei getta lo scompiglio fra i movimenti rivoluzionari, fra gli elettori liberali e moderati che vedono ulteriormente indebolirsi i propri candidati dopo l’annuncio. Ayman Nour, in corsa per la presidenza egiziana e capo del partito Ghad, ha definito «uno shock alla coscienza nazionale» la decisione di El Baradei. Secondo Nour, che si candidò già  contro Mubarak nel 2005, Baradei ha rappresentato «il bacio della vita» per la rivoluzione che ora perde sua «parte sana». Nour non esclude che altri candidati alla presidenza seguano il Premio Nobel, «quelli che hanno creato il sogno se ne andranno e resteranno solo quelli che sognano il potere e il dominio». 
Considerato uno dei papabili alla presidenza subito dopo la caduta dell’ex raìs, El Baradei era stato criticato in Egitto per essere stato troppo tempo fuori dal Paese e per non essere sufficientemente a conoscenza delle esigenze dell’elettorato. Altri lo avevano accusato di essersi troppo avvicinato ai Fratelli musulmani, che recentemente, però, ne avevano preso le distanze. A novembre quando si era dimesso il governo di Essam Sharaf, Baradei si era proposto come premier di un governo di salvezza nazionale, che traghettasse l’Egitto fino alle presidenziali.
Nei mesi scorsi Baradei ha avuto parole molto dure nei confronti del Consiglio militare, soprattutto per la gestione della sicurezza. Durante gli scontri nei pressi di piazza Tahrir a fine novembre ha denunciato «un massacro con gas nervino». A dicembre durante le violenze davanti al consiglio dei ministri, Baradei ha definito l’azione delle forze dell’ordine come «brutale e barbara». 
I rapporti fra il fronte dei partiti nati dopo la rivoluzione e la Giunta guidata dal maresciallo Mohammed Hussein Tantatwi sono estremamente tesi. I generali non sembrano aver l’intenzione di voler passare i poteri quest’anno al Parlamento (che sarà  dominato dai partiti islamisti usciti vincitori dal recente voto), rinviando a data da definirsi la loro uscita di scena, rimanendo in una posizione determinante e mantenendo gli appannaggi e i privilegi della loro casta. Forse il ritiro di el Baradei riflette la consapevolezza che non ce l’avrebbe fatta a raggiungere l’obiettivo della presidenza in un contesto nel quale i Fratelli Musulmani affermano di avere incassato il 46% dei voti nelle recenti elezioni per il Parlamento e i salafiti del Partito Al Noor sono accreditati con un 23%.


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