Etiopia, un esodo forzato

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Un esodo massiccio, cominciato nella regione occidentale di Gambella: le autorità  dicono che 70mila persone sono state trasferite a tutto il 2011, in modo volontario, beneficiando così di migliori condizioni di sviluppo economico e culturale. Il programma sarà  presto esteso alle regioni di Afar, Somali, e Benishangul-Gumuz. Fin qui la versione governativa. L’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch è andata a vedere come si sono svolte le cose nel primo anno e ne parla in tutt’altro modo: un programma di trasferimento forzato in cui la popolazione, soprattutto dei gruppi etnici Anuak e Nuer, è costretta sotto la minaccia di violenza a spostarsi in villaggi dove manca dei mezzi di sopravvivenza. Non solo: sembra proprio che le terre così sgomberate siano tra quelle che il governo vuole dare in concessione a grandi imprese straniere per progetti di sfruttamento agricolo intensivo: un altro aspetto del land grabbing, accaparramento di terre. 
Il rapporto diffuso il 17 gennaio da Hrw è basato su un centinaio di interviste condotte tra maggio e giugno 2011 in parte sul luogo, in parte nei campi profughi in Kenya dove molti abitanti di Gambella sono fuggiti («Waiting Here for Death’: Forced Displacement and ‘Villagization’ in Ethiopia’s Gambella Region»). Hrw ne conclude che l’operazione è un disastro umano: chi accetta di trasferirsi lo fa sotto la minaccia, chi resiste subisce violenze e arresti. E che tutto questo non ha migliorato le condizioni di vita della popolazione, al contrario ha deteriorato una situazione alimentare già  precaria. Gli abitanti della regione non hanno mai avuto formali titoli di proprietà  delle terre in cui vivono e che usano: così il governo dichiara che sono zone «disabitate» e «sotto-utilizzate», e con ciò aggira le norme costituzionali che proteggerebbero gli abitanti dall’esodo forzato.
Il primo round di trasferimenti è avvenuto nel peggiore momento dell’anno, all’inizio del raccolto: migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare tutto muovendo in nuovi villaggi su terre aride e incolte. Insomma, hanno lasciato campi coltivati e pronti a dare frutto per terre ancora da dissodare, senza acqua, né assistenza quanto a sementi e fertilizzanti. Questo ha rotto il già  precario equilibrio della sopravvivenza della regione: i pastori sono stati costretti a lasciare bestie e pascoli per trasferirsi in villaggi dove dovranno diventare contadini sedentari. I coltivatori che usano dissodare terre a rotazione muovendosi nel corso degli anni, ora dovranno coltivare in un solo luogo (a rischio di impoverire rapidamente i nutrienti del terreno, in una regione così arida). In assenza di assistenza, sementi, cibo, per entrambi i gruppi un tale cambiamento «è una minaccia alla sopravvivenza stessa», fa notare Hrw. Il rapporto cita persone che temono carestia e fame per l’anno prossimo, perché «non abbiamo come far crescere cibo». E altri che spiegano: «Ci hanno detto, “porteremo qui investitori che coltiveranno roba di valore. Voi non sapete usare la terra”». 
Il governo etiopico nega che la «villagizzazione» sia legata alle concessioni di terre. Ma è un fatto: il 42 per cento del territorio totale della regione di Gambella è stato destinato (o è già  stato dato) a coltivazioni commerciali, secondo i dati del governo stesso, e molte delle zone della «villagizzazione» vi rientrano. C’è da sospettare sugli scopi del programma, conclude Hrw, e chiede ai «donatori» internazionali di non finanziare quel progetto.


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