Spread al 17%, tassi record al 22,69% Il default portoghese è dietro l’angolo

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Il rendimento pagato dai titoli quinquennali portoghesi è balzato al 22,69%, segnando un massimo storico per i dodici anni di vita dell’euro. È evidente che il Portogallo sta scivolando verso un inesorabile fallimento, seguendo, con qualche mese di ritardo, il modello greco. Ma che il cammino sarebbe stato questo lo si sapeva fin dal marzo dello scorso anno, quando, in seguito a una sorta di colpo di stato bancario, il governo guidato da José Socrates, socialista, è stato costretto alle dimissioni e, alla conseguente dichiarazione di insolvenza.
Oggi tutti si sono dimenticati che quella dichiarazione di insolvenza era stata presentata ai portoghesi, e a noi europei, come la panacea di tutti i problemi. Si diceva, in sostanza, che sul mercato libero i tassi di interesse da pagare sul debito sovrano stavano crescendo a ritmi insostenibili e che solo con un prestito dalla troika (Bce, Fmi e Ue) il costo del debito avrebbe potuto essere messo sotto controllo creando anche un argine al contagio che minacciava di colpire la vicina Spagna. Come era ovvio l’intervento della troika non aveva nulla di taumaturgico e infatti gli spread, che allora viaggiavano intorno al 7%, non hanno fatto altro che salire e il contagio che si voleva arginare ha colpito oggi non solo Spagna e Italia, ma anche Francia e Belgio. 
Se si vuole capire qualcosa dell’intricatissima vicenda che stiamo vivendo, le responsabilità  non possono essere ricercate esclusivamente nei nein di frau Merkel. Le classi dirigenti portoghesi sono le prime responsabili del disastro, avendo usato il fiume di soldi stanziati a metà  degli anni ottanta, quando il Portogallo entrava nell’Unione Europea, solo in minima parte per investimenti e in grande parte per alimentare il consenso in anni in cui, siamo a cavallo tra gli ottanta e i novanta, il settore manifatturiero espelleva metà  dei suoi lavoratori. 
Oggi quel periodo sembra essere davvero lontano, ora l’austerità  si è imposta sullo sviluppo, gli standard europei si allontanano ogni giorno e parlare di una fuoriuscita dall’euro non è più un tabù. Una decisione, questa, che in fin dei conti colpirebbe soltanto i soliti noti, perché intanto, chi doveva salvaguardare il proprio capitale, ha già  portato tutto in lidi più sicuri e meno tassati. E per chi vive di lavoro il ritorno all’antica moneta, l’escudo, costerebbe una svalutazione che è stata calcolata intorno al 30-40%: sarebbe il colpo finale al già  bassissimo potere di acquisto dei salari portoghesi. 
Va detto che l’allontanamento del Portogallo dall’Europa si costruisce nel quotidiano, con mille decisioni che apparentemente poco hanno a che vedere con l’austerità  o con gli spread. L’Europa, per molti, è stata vissuta appena come una soluzione di ripiego, quasi una forzatura innaturale, un girare le spalle alla vera tradizione lusitana: l’Atlantico e le terre dell’antico impero d’oltremare. Avevamo già  visto tempo fa come capitali angolani puntellino vari settori cruciali della finanza portoghese, non da ultimo l’importantissimo Banco Comercial Portuguàªs, che, ora, su pressione di Manuel Vicente, amministratore della Sonangol, ridisegna completamente la struttura dei suoi vertici. In vista anche un aumento di capitale da 500 milioni e un intervento statale di circa un miliardo di euro. Non solo, nei prossimi giorni si cominceranno a delineare anche i contorni della privatizzazione della Portugal Telecom. Tra i nomi che girano c’è anche quello della figlia del presidente angolano José Eduardo dos Santos, Isabel dos Santos, vedremo come andrà  a finire. Intanto il ministero del tesoro ha venduto il 21% delle proprie azioni, e, quindi, il controllo de facto, della monopolista Edp, Energias de Portugal, che è stata aggiudicata non ai tedeschi, come si era pensato, ma alla Three Gorges, compagnia dal nome inglese ma dalla proprietà  cinese. Ben presto il governo di Lisbona potrebbe non rispondere più né ai suoi cittadini né a Bruxelles ma a Luanda o a Pechino e così, oltre ai capitali, potrebbero arrivare i modelli politici, non propriamente improntati ai valori del pluralismo e della solidarietà . In fondo, a ben guardare, i presupposti per un collasso autoritario ci sono tutti, se, come rivela uno studio promosso dall’Instituto de Ciàªncias Sociais di Lisbona, la fiducia che i portoghesi ripongono nei confronti delle istituzioni ha raggiunto valori prossimi allo zero. 
Insomma di tempo al Portogallo e all’Europa ne è rimasto davvero ben poco. La prospettiva è quella di un brutale salto indietro di quarant’anni, a quando cioè, le truppe del capitano Salgueiro Maia non avevano ancora tolto il potere alla dittatura più longeva d’Europa.


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