Il viatico di Bin Laden: «Figli miei, andatevene a studiare in America»

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WASHINGTON — Osama, invecchiando, si era ammorbidito. E sognava per i suoi figli non la «carovana della Jihad» ma studi e vita in Occidente. Un sogno americano, reso ancora più forte da una raccomandazione paterna: lasciate perdere la lotta armata, non fate come me. Precisazione. Questo insolito ritratto del Bin Laden privato è stato svelato al Sunday Times da una fonte indiretta, Zakaria Al Sadah, cognato del capo qaedista e fratello di Amal, la quinta moglie del «Califfo». La donna, che era nel rifugio di Abbottabad al momento dell’attacco, avrebbe svelato a Zakaria questi aspetti inediti. Per questo sono affermazioni da prendere con grande prudenza, come tutte quelle che girano sul grande nemico dell’Occidente.
Amal, rimasta ferita nel blitz e messa agli arresti domiciliari in Pakistan, ha raccontato a Zakaria come il marito avesse cambiato idea su molte delle sue scelte. A cominciare dall’11 settembre. Osama — secondo la donna — si sarebbe pentito per le conseguenze dell’attentato e voleva che i figli e nipoti che vivevano ancora con lui nel covo pachistano facessero altro. Per prima cosa, diremmo noi, «prendersi la laurea». E meglio se in Occidente. Quindi, secondo comandamento, evitare di seguire le orme paterne: il vostro obiettivo — sarebbe stato il suo auspicio — è «vivere in pace e non fare quello che faccio io». 
Osama, forse, aveva rivisto, con calma, il film della sua vita. Lui aveva frequentato scuole solo nei Paesi arabi e non — come i suoi fratelli — in Europa o negli Usa. Una scelta personale ma anche legata al fatto che Osama non era il prediletto del clan. E per alcuni ciò ha avuto un’influenza determinante sul suo futuro, perché all’università  saudita ha avuto tra i suoi professori anche ideologi della Jihad. E quegli insegnamenti non li ha mai dimenticati. Tanto è vero che li ha «passati» ad alcuni dei figli — almeno 20 — in particolare Saad, Mohammed e Hamza. Loro sono entrati nel movimento terrorista e poi sono stati uccisi. Un altro figlio, Omar, che si è tenuto lontano dalla militanza non ha un buon ricordo dell’infanzia. In un libro ha raccontato che il padre non comprava mai giocattoli e costringeva la famiglia ad una vita spartana. Ma, secondo il cognato, erano altri tempi.
Zakaria ha spiegato che i bambini che erano con Osama ad Abbottabad — nove figli più alcuni nipoti — sono rimasti traumatizzati dall’esperienza di maggio. In particolare la dodicenne Safiyah. Prima sono stati testimoni del raid dei Navy Seals, con l’uccisione del patriarca. Poi la lunga detenzione. Amal, con le altre due moglie, Khairiah e Siham, sono state messe in una residenza sorvegliata in quanto i pachistani intendono ricavare informazioni e, probabilmente, tenere in mano delle pedine. Più volte è stato promesso un rilascio ma non si è concretizzato. E infatti le donne hanno iniziato uno sciopero della fame nella speranza di ottenere clemenza.
Il racconto del cognato sui desideri di Bin Laden contrasta con altre versioni. Intanto Osama predicava una cosa e ne faceva un’altra. I figli che erano ad Abbottabad non andavano a scuola ma venivano istruiti dai genitori. E non uscivano mai dal complesso recintato. Bambini senza amici, costretti a vivere in quella che si era tramutata in una sorta di prigione. Il secondo aspetto riguarda il presunto pentimento. Le carte sequestrate dagli americani provano che il leader continuava a progettare, con molte velleità , piani d’attacco all’interno degli Stati Uniti. Ed era sempre preso dal suo ruolo, al punto che si riguardava spesso in tv.
Allora come spiegare il racconto di Zakaria? Forse c’è qualcosa di vero, magari è soltanto una frase di Bin Laden detta in un certo momento. Più probabile che la ricostruzione fornita alla stampa sia un tentativo per aiutare la sorella e il resto della parentela nello Yemen. Da cittadini liberi. Un modo per rompere con la «tradizione» bellicosa e terroristica, un’iniziativa per sottrarre i figli dalle colpe del padre. Mossa legittima e umana che non farà  piacere ai fautori del «martirio» e a chi ha perso un parente che ha risposto all’appello di Bin Laden. Sempre che siano disposti a credere quello che scrivono i media occidentali.


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