«Dopo l’austerità , la crescita L’ho detto anche alla Merkel»

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LUSSEMBURGO — Sulla scrivania, accanto a due banane, ha un foglio con gli ultimi dati sugli spread italiani: «Beh, ecco, quando penso all’Italia io sono un uomo felice…».
Scherza, Jean Claude-Juncker, ma neppure troppo. Primo ministro del Lussemburgo, è il presidente dell’Eurogruppo, l’organismo che riunisce i ministri finanziari dell’Eurozona. Domani sarà  a Bruxelles per guidare appunto un Eurogruppo straordinario, prima del vertice dei capi di Stato e di governo della Ue. Ma intanto, scorre i numeretti degli spread italiani, i differenziali nei rendimenti dei nostri titoli di Stato rispetto a quelli omologhi tedeschi: «Sono il riconoscimento, da parte dei mercati finanziari, del fatto che le decisioni del governo Monti hanno allontanato il contagio del debito».
Tre mesi fa, lei disse «l’Italia deve provare che noi abbiamo ragione di accordarle la nostra fiducia: non solo annunciare le misure, ma anche metterle in opera». C’è riuscita?
«È sulla strada giusta. Da quando Mario Monti è il vostro primo ministro, le cose hanno migliorato in un modo piuttosto inaspettato. Vi è stata un’intelligente e saggia combinazione delle misure per il consolidamento dei bilanci con quelle per la crescita. E noi siamo soddisfatti di questo risultato».
Dunque non giudica necessarie delle manovre aggiuntive?
«Giorno dopo giorno, l’Italia deve provare — e sta dimostrando di volerlo fare — che il riconsolidamento delle finanze pubbliche non è un poema, ma una realtà  che deve affrontare: una volta dimostrato al mondo che le cose sono cambiate, e che il Paese si trova su un serio cammino di consolidamento, questo apparirà  sufficiente. Ma il risultato più importante è un altro».
Quale?
«Quello cui accennavo prima: grazie alla combinazione fra il consolidamento dei bilanci e la crescita, il modo italiano di affrontare la crisi può stabilire un esempio. Perché io credo che focalizzarsi solo sul consolidamento, anche se ad esso non c’è alternativa, non basti. Ci vuole una strategia europea dedicata a quello, ma anche alla crescita. Noi non siamo soltanto una macchina che stampiglia sanzioni».
Dovrebbe spiegarlo alla signora Angela Merkel…
«Gliel’ho detto, poco tempo fa. E lei non mi ha detto il contrario».
La signora Merkel non vuole parlare degli stanziamenti destinati ai Fondi salva Stati, quello provvisorio di oggi (Efsf, restano circa 250 miliardi) e quello stabile che nascerà  a luglio (Esm, ha una dote di 500 miliardi). È per questo che un vertice dell’Eurozona già  fissato per venerdì è stato appena cancellato. Ma lei, come la pensa?
«Personalmente, credo che la cosa migliore sarebbe aggiungere in parallelo le risorse dell’Efsf a quelle dell’Esm (dunque un totale di 750 miliardi ndr). Non credo però che questo sia un tema di cruciale importanza per i prossimi giorni. Prima, bisogna aspettare i risultati dello scambio dei titoli con i creditori privati in Grecia».
Ha scritto il «Wall Street Journal»: il salvataggio della Grecia non è stato fatto per la Grecia, ma per l’Italia o la Spagna.
«Vi sono state tre motivazioni di base: aiutare la Grecia, assicurare la stabilità  finanziaria dell’Eurozona, ed evitare che il contagio greco toccasse la Spagna e l’Italia. Questo è stato fatto. Ma sapevamo che se avessimo rifiutato ad Atene gli aiuti, la malattia si sarebbe diffusa. Per l’Italia, come dicevo prima, in qualche misura il contagio è scomparso anche per le decisioni del governo Monti».
Ed è vero — come dicono altri — che la soglia di sicurezza del debito greco, il 120% del prodotto interno lordo entro il 2020, è stata scelta da voi per ragioni politiche, perché quel 120% è più o meno la quota del debito italiano?
«Intanto, per la Grecia si parla del 120,5%. Poi, se non ricordo male, questo fu deciso al vertice del 26 ottobre 2011, e non ci fu una discussione di questo tipo. Può anche darsi che nelle nostre menti fossero presenti queste cifre. Ma la realtà  italiana è molto distante da quella greca: basti pensare al risparmio privato, da voi è molto più alto».
Vent’anni fa lei era a Maastricht…
«Sì, e firmavo il Trattato, con tanti altri. Quel Trattato che ci sopravviverà , a me e all’euro. E l’euro sopravviverà  a me…».
Ma come risponde alla solita critica, che l’errore fu creare un’unione monetaria senza un’unione politica?
«C’erano due scuole di pensiero, certo. Quando poi si vide che non vi era alcuna volontà  di lanciare una vera unione politica, partimmo con quella monetaria, che io volevo fosse completata da un governo economico. Lei mi chiede ora: abbiamo sbagliato? Io penso, con l’esperienza degli ultimi 10-12 anni, che abbiamo avuto ragione».
Perché?
«Rispondo con altre domande. Che cosa sarebbe accaduto alla stabilità  dell’Europa dopo l’11 settembre, se i suoi Paesi non avessero agito d’accordo? Gli speculatori si sarebbero lanciati all’attacco. Che cosa sarebbe accaduto senza la disciplina dell’euro, dopo le crisi finanziarie? La Banca centrale europea ha potuto iniettare denaro e così ha evitato un grande disastro. Ma senza tutto questo, vi sarebbe stato un disordine totale, caotico. Avremmo avuto problemi enormemente più grandi di quelli di oggi».
L’unione politica resterà  quindi un sogno?
«Con la globalizzazione, c’è un bisogno crescente di una costruzione politica nel continente. Dopo la crisi, la gente capisce che le nostre economie sono interconnesse e che bisogna agire insieme, non sprecare le energie dividendoci. Anche per ragioni demografiche: all’inizio del 1900, gli europei erano il 20% della popolazione mondiale, ora sono l’11%, e nel 2050 saranno il 7%. No, non è proprio l’ora di ridividerci in splendidi Stati nazionalisti».


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