Ingorgo nel tetto del mondo in 410 sulla vetta dell’Everest

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pechino – Traffico e business esplodono in Himalaya con la prima finestra di bel tempo della primavera. Lungo gli itinerari che portano agli 8.848 metri della cima, si trovano in queste ore 240 alpinisti in Nepal e 170 in Tibet. Un record, ma pure un rischio fatale. Nei campi oltre quota 6mila mancano spazi e bombole d’ossigeno. I percorsi e i passaggi con le corde fisse risultano tanto affollati che i tempi di salita e di discesa si dilatano fino a far crollare le persone, spesso dilettanti non acclimatati, per il mal di montagna. 
L’allarme arriva dai club alpini di Lhasa e Kathmandu, che mettono in guardia anche dal mercato nero delle ascensioni low-cost. Impoveriti da crisi e concorrenza, i tour operator garantiscono una foto sul punto più alto della terra a prezzi sempre più bassi. Si parte ormai da 20mila dollari a persona tutto compreso, quando il costo medio di una spedizione, permessi compresi, si aggira tra i 35 e 60mila dollari a testa. Le conseguenze sono tragiche. Ai campi base oltre quota 7mila arrivano turisti impreparati, privi di equipaggiamento per l’alta montagna, accompagnati da sherpa esausti e da guide che si rivelano sequestratori. L’alpinista cinese Wang Tianhan, veterano dell’Everest, ha denunciato ieri di essere stato rapito a quota 7.800 metri da un gruppo di sedicenti soccorritori. Lo avrebbero riportato con la forza alla base dopo che si è rifiutato di pagare una somma esorbitante per scattare alcune fotografie.
Nima Tsering, capo delle guide tibetane, ha puntato il dito anche contro l’«agghiacciante disumanità  di chi pensa solo ai soldi investiti». Nelle ultime ore decine di alpinisti di tutto il mondo sono saliti in vetta ignorando i cadaveri incontrati sul percorso, o rifiutando soccorsi ai colleghi in difficoltà . «Il clima – spiega Zhang Mingxing, direttore dell’ufficio alpinismo di Lhasa – è cambiato. I giorni sereni si riducono, come le ore con sufficiente visibilità . Gli aspiranti conquistatori dell’Everest invece si moltiplicano: è un assalto catastrofico sia per la natura che per gli appassionati». 
La storia di Nadav Ben Yehuda ha così fatto il giro del mondo. A trecento metri dalla vetta ha rinunciato a diventare il più giovane israeliano a scalare l’Everest per salvare la vita a un turco che stava morendo assiderato. La “pace himalayana” tra Tel Aviv e Ankara gli costerà  alcune dita, ma l’alpinista ha denunciato i colleghi che avevano abbandonato una persona «solo perché priva di conoscenza». 
La ressa di dilettanti e delinquenti sulla montagna-mito dell’Asia, che nell’ultimo decennio ha mietuto oltre 150 vite, non ha risparmiato nemmeno l’italiano Simone Moro. Assieme ai fratelli Karbon, sudtirolesi, aveva in programma la prima attraversata Everest-Lhotse. Dopo aver recuperato la salma di un alpinista ucraino, è stato costretto a rinunciare. «Salire adesso è pazzesco – ha detto – ci sono morti ovunque e superare oltre duecento persone in colonna è impossibile. Significa restare ore fermi oltre quota 8 mila, congelamento e ipossia sono assicurati». 
Lieto fine invece per un lombardo di 69 anni: dato per disperso e ritrovato dopo tre giorni, si era rifiutato di scendere al campo base «per avere un’altra possibilità ». È stato convinto e salvato: mentre centinaia di alpinisti improvvisati, a suon di mazzette, acquistavano la precedenza nei tentativi dall’alba successiva.


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