L’esodo degli induisti che sconvolge Bangalore “Vogliono massacrarci”

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BANGKOK — Fuggono a migliaia, lasciano su treni speciali Pune, Mumbai, Chennai, Bangalore, le città  ricche e tecnologiche del Sud dove hanno lavorato per anni. Molti non sanno cosa li aspetta a casa, nel lontano Assam. È un esodo alimentato da voci confuse e messaggini telefonici allarmanti, un pigia pigia di persone spaventate dai tratti tibeto-cinesi, ammassati lungo i binari che portano al Nord Est dell’India. Sono partiti in 30mila dalla sola Bangalore, senza sapere se e quando potranno tornare. Sono impiegati, agenti di sicurezza, domestici, dipendenti d’albergo, manovali, un tempo benvenuti e oggi spaventati a morte dalle vere o presunte minacce di ritorsioni degli islamici del Sud per i massacri dei loro fratelli di fede avvenuti nell’ultimo mese in Bodoland, nell’Assam, la terra nativa dei Bodo di fede induista o cristiana che oggi straripa di musulmani dal Bangladesh. La stazione di Bangalore, città  capitale dell’high tech e sede del-l’Infosys, è stata testimone dell’afflusso più imponente di passeggeri per Guwahati, un tempo il punto di partenza della nuova vita verso il Sud, oggi città  di smistamento per i pullman diretti a Udalguri e Kokrajhar, le città  principali di Bodoland al centro degli scontri etnici costati già  70 morti e 400mila profughi, o nei villaggi bruciati da folle inferocite di entrambi i fronti. È una strana corsa all’indietro verso l’occhio del ciclone, per visitare i parenti in pericolo, portare conforto e aiuto, difendere la propria terra e le case dall’invasione dei nuovi arrivati che sono ormai la maggioranza in 11 dei 27 distretti dell’Assam. Ma è soprattutto una fuga dalla paura. «Qualcuno ci ha avvisato di lasciare Bangalore entro il 20 agosto», hanno raccontato gran parte dei passeggeri ammassati davanti alle biglietterie della Stazione centrale. Chi abbia diffuso la voce, nessuno sa dirlo. Qualcuno ha ricevuto un sms di allarme da amici o parenti, altri hanno udito racconti di gang coi coltelli che andavano in giro per le strade di Bangalore e Pune minacciando la gente dai tratti mongoli, e accusandola per tutto ciò che stava accadendo ai musulmani dell’Assam e dell’Arakan in Birmania, senza distinguere se si trattava di immigrati da Darjeeling, dal Sikkim o dal Nepal. Nella confusione non è servito a placare gli animi nemmeno l’arrivo in stazione di due ministri dello Stato del Karnataka, che si sono svociati per garantire a chi resta l’assistenza delle forze dell’ordine. «Non credete alle dicerie, non vi sarà  torto un capello», hanno detto inascoltati. Di certo non esistono precedenti alla fuga di questi giorni, alimentata da episodi inventati o gonfiati per motivi spesso politici più che religiosi (spartirsi il voto di protesta dei musulmani, ad esempio, o al contrario quello degli induisti radicali). Ad avvelenare il clima, sono giunte poi le notizie delle proteste tra i maomettani di Mumbai contro le violenze etniche in Bodoland, con due manifestanti uccisi dalla polizia. «È una vergogna nazionale», ha esclamato in Parlamento il premier Manmohan Singh dopo una visita ai profughi. «Qui sono a rischio l’Unità  del Paese e l’armonia sociale. Prenderemo i sobillatori e faremo sì che i cittadini del Nord Est si sentano sicuri ovunque». Per ora, sono vietati per 15 giorni sms e mms, i tam tam moderni che fanno tremare l’India.


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