Morsi scrive a Peres: «Lavoriamo per la pace»

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Un leader dei Fratelli musulmani ha scritto per la prima volta ad un leader dello Stato di Israele. È avvenuto a metà  luglio, riportava ieri il quotidiano israeliano Haaretz sul suo sito online, riferendo del messaggio dai toni distensivi che Shimon Peres ha ricevuto dal presidente egiziano Mohammed Morsi, in risposta a due messaggi di felicitazioni inoltratigli dal capo dello stato israeliano. Peres scrisse a Morsi quando entrò ufficialmente in carica e in occasione dell’inizio del digiuno islamico di Ramadan. «Colgo l’occasione – ha risposto Morsi – per tornare a precisare che intendo impiegare i miei sforzi più intensi per riportare il processo di pace in Medio Oriente sul suo giusto binario, allo scopo di conseguire sicurezza e stabilità  per tutti i popoli della Regione, incluso il popolo israeliano». 
Un messaggio breve ma di eccezionale importanza – consegnato da un alto funzionario dell’ambasciata egiziana a Tel Aviv al consigliere militare di Peres, il generale Hasson Hasson – che segna una ulteriore svolta «moderata» nella linea già  morbida che i Fratelli musulmani egiziani hanno adottato dopo essere entrati a pieno titolo sulla scena politica post-Mubarak vincendo prima le elezioni legislative (poi annullate dalla Corte costituzionale) e poi quelle presidenziali. Un linguaggio soft che contrasta con le intenzioni affermate non molto tempo fa dalla Confraternita di voler «rivedere» gli accordi di Camp David firmati da Egitto e Israele alla fine degli anni ’70, perché sbilanciati a favore dello Stato ebraico. Ma che non è in contraddizione con la posizione espressa da Morsi subito dopo la sua elezione a presidente, favorevole al rispetto di tutti i trattati internazionali firmati dall’Egitto. Parole che tranquillizzarono non poco l’Amministrazione Obama che, nel frattempo, ha già  trovato un linguaggio comune con i Fratelli musulmani egiziani – considerati dagli Usa un’associazione terroristica fino alla caduta di Mubarak – come ha dimostrato la visita, il mese scorso al Cairo, del segretario di stato Hillary Clinton e la probabile visita che a settembre Morsi farà  alla Casa Bianca.
L’Islam politico, oggi dominatore della scena egiziana, sta ben attento a non mutare radicalmente la politica estera portata avanti per trent’anni da Hosni Mubarak. Lo dimostra anche la recente intesa raggiunta da Morsi con i leader del movimento islamico Hamas che controllano la Striscia di Gaza. Aperture e allentamento del blocco (praticato da Israele ma anche dall’Egitto) ma sino ad un certo punto, in modo da non violare l’accordo del 2005 siglato con Stati Uniti, Israele e Europa per l’apertura del valico di Rafah. L’Egitto si è impegnato a permettere il «libero ingresso» nel suo territorio dei palestinesi (non solo di Gaza) senza visto. Non ha abolito però le rigide disposizioni che regolano i movimenti alla frontiera di Rafah, a cominciare dal divieto di transito per le merci e il carburante diretti a Gaza che dal lato egiziano continueranno a passare per il valico israeliano di Kerem Shalom. In sostanza l’Egitto chiuderà  un occhio, forse entrambi, di fronte al traffico clandestino attraverso i tunnel sotterranei per Gaza, invece in superfice le merci per la popolazione palestinese continuerà  a mandarle verso Kerem Shalom. 
Il messaggio inviato da Morsi a Shimon Peres rappresenta il riconoscimento ufficiale da parte dei Fratelli musulmani egiziani non solo degli accordi di Camp David ma dello stesso Stato di Israele. Per questo non sono pochi gli analisti che prevedono una svolta «moderata» anche in casa palestinese, dove Hamas potrebbe o dovrebbe scegliere, in linea con la politica estera della Fratellanza egiziana, un approccio ancora più «pragmatico» rispetto ad oggi nei confronti di Israele, pur senza arrivare al riconoscimento ufficiale dell’esistenza dello Stato ebraico.
La politica estera sarà  la preoccupazione minore per i leader dei Fratelli musulmani egiziani, che dedicheranno per scelta e per forza (vista la grave situazione economica dell’Egitto) più spazio alla politica interna e alla società . Qualche giorno fa Morsi ha finalmente annunciato il nome del premier incaricato di formare il primo governo «eletto» nell’era post Mubarak. Si tratta di Hesham Qandil, il più giovane capo di governo della storia egiziana. Ufficialmente un indipendente, Qandi in realtà  è molto vicino alla Fratellanza, in particolare a Khairat al-Shater, il milionario e “numero due” della confraternita. E ciò ha scatenato le proteste di molti egiziani, poichè Morsi aveva garantito la nomina di un primo ministro lontano da ogni partito e di un governo tecnico. Dieci ministeri invece saranno assegnati agli islamisti, mentre agli «indipendenti» dovrebbero andare interni, esteri, giustizia e informazione.


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