Flop delle privatizzazioni agricole solo 80 milioni dai terreni di Stato

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Era il novembre 2011, e a capo dell’esecutivo c’era ancora Silvio Berlusconi. La Coldiretti aveva da poco presentato uno studio che, sulla base dei dati Istat e Inea disponibili allora, stimava in 330mila ettari le superfici coltivabili in mano pubblica, per un valore medio di 18.500 euro. Il governo di centrodestra, che di lì a poco si sarebbe dimesso, aveva deciso di cogliere la palla al balzo e vendere le terre per fare cassa.
Dopo mesi di ritardi, il ministero delle Politiche agricole ha concluso un primo censimento delle aree che possono essere cedute, e la distanza tra le aspettative
e la realtà  difficilmente poteva essere più grande. Gli immobili da vendere sono 1853 — a cui se ne sommano 65 da affittare —, per un totale di 60mila ettari. Inoltre, il valore stimato dei terreni è di 82 milioni di euro. Una cifra che, se confermata, difficilmente potrebbe scalfire un debito pubblico che sfiora i 2mila miliardi.
Il ministero presieduto da Mario Catania prende le distanze: «Non sono stati i nostri uffici a prevedere sei miliardi di entrate, e l’articolo 7 della legge Stabilità  non riporta alcuna cifra». Alcuni terreni potrebbero essere sfuggiti al censimento e il valore di alcuni immobili potrebbe essere sottostimato. Dal conteggio inoltre, sono escluse le aree in mano agli enti locali, che possono dare mandato all’Agenzia del demanio di vendere le loro terre. Ma è difficile aspettarsi grandi sorprese: «Stato, Regioni e Comuni non posseggono molti terreni di valore — dice Roberto Pretolani, vicedirettore del dipartimento di Economia e politica agraria dell’università  Statale di Milano —. Normalmente la pubblica amministrazione si fa carico di aree difficili da vendere, perché soggette a forti vincoli su ciò che si può costruire, o perché adibite ad attività  poco redditizie, come i pascoli». Nel censimento dei terreni cedibili, portato avanti da Ismea e dall’Agenzia del demanio, c’è un altro dato che desta preoccupazione. Per evitare svendite del patrimonio pubblico e speculazioni, la legge ha previsto che gli immobili di valore superiore ai 100mila euro debbano essere venduti con asta pubblica e non con trattativa privata. Peccato che, secondo le prime stime, a valere meno di 100mila euro siano 1738 aree agricole su 1853.
A fare da argine agli abusi, rimangono le norme che prevedono il diritto di prelazione per i giovani agricoltori e che, per vent’anni, ai terreni non possa essere attribuita una destinazione urbanistica diversa da quella agricola. Resta da vedere come la materia sarà  trattata nel decreto attuativo, di cui si attende la pubblicazione dal 30 giugno.


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