LA GRAN BRETAGNA AL REFERENDUM SULL’EUROPA

Loading

I leader dei tre maggiori partiti del parlamento di Westminster, conservatori, laburisti e liberaldemocratici, devono cioè impegnarsi ad indire un referendum, una volta che la nuova Unione Europea sarà  uscita dalla crisi dell’Eurozona e saranno chiare le condizioni dell’adesione britannica, per stabilire se restare dentro o uscirne. Dato che con tutta probabilità  l’Eurozona si salverà , ma solo con grande lentezza, a tappe, nello stile della Merkel, e dato che la posizione della Gran Bretagna si potrà  chiarire solo una volta emerse le conseguenze politiche del salvataggio, il referendum si farà , stando alle proiezioni attuali, tra il 2015 e il 2020, durante il mandato del prossimo parlamento britannico.
Il premier David Cameron dovrebbe promettere il referendum nel tanto atteso discorso sull’Europa, ora fissato per metà  gennaio. Se il leader dei Laburisti, Ed Miliband, e il liberaldemocratico Nick Clegg avranno fegato lo bruceranno sul tempo, cavalcando la tigre delle istanze indipendentiste dell’Ukip. Tutti quanti i partiti potranno comunque fare riferimento alle approfondite analisi sulla ‘ripartizione delle competenze’ tra Unione Europea e Regno Unito, condotte nell’ambito di vari dipartimenti governativi britannici, che saranno completate solo nel 2014 e fungeranno da base per il dialogo tra le due sponde della Manica. Esisterà  allora una posizione nazionale ben definita. I cittadini britannici avranno la possibilità  di prendere una decisione sulla permanenza nell’Unione solo quando sarà  chiaro da
cosa usciranno e in cosa resteranno. La questione è assolutamente prioritaria.
L’opinione pubblica britannica è favorevole al referendum. In un sondaggio YouGov di qualche tempo fa il 67% degli intervistati si è detto favorevole ad un ‘referendum sul rapporto tra Gran Bretagna ed Europa da tenersi a distanza di qualche anno’. Benché nella democrazia rappresentativa l’uso del referendum debba essere limitato, questo tipo di consultazione è diventato parte integrante dell’evolversi della costituzione britannica. A quarant’anni di distanza dall’ultima consultazione diretta sul tema europeo, il referendum del 1975, è giusto dare ai britannici una nuova occasione perché l’Unione Europea di oggi ha una portata ben diversa rispetto al cosiddetto mercato comune di allora.
Indire un referendum prima del 2015, come insistono certi conservatori euroscettici, equivarrebbe ad una totale perdita di tempo e ad un ingente dispendio di denaro dei contribuenti. Non sapremo ancora quale sarà  l’Unione Europea del dopo crisi e non si può ‘rinegoziare’ la convivenza della Gran Bretagna in una casa sconosciuta, unifamiliare o bifamiliare che sia. ‘Rinegoziare’ e ‘rimpatrio dei poteri’ sono termini in voga tra gli euroscettici che il Labour e i liberaldemocratici probabilmente non vorranno usare. La verità  però è che la Ue è permanentemente in negoziato, oggi più che mai. Inoltre ‘rinegoziare’ può significare in pratica qualunque cosa, da un minimo aggiustamento marginale (come dimostrò il premier laburista Harold Wilson prima del referendum del 1975 ‘rinegoziando’ ai minimi termini) fino ad un piano di completo distacco istituzionale, che ponga la Gran Bretagna sullo stesso fiordo della Norvegia, (che non è paese membro della Ue ma deve ottemperare
a gran parte dei regolamenti dell’Unione per poter accedere al mercato europeo).
Quindi i leader dei tre maggiori partiti britannici dovrebbero impegnarsi ad indire il referendum “dentro o fuori”, ma tutti e tre finora hanno cercato di svincolarsi. Perché? Il premier Cameron paventa ripercussioni negative sul suo mandato di premier ed un effetto dirompente all’interno del suo partito. Miliband teme che il referendum proietti un’ ombra sinistra sul suo governo se il Labour vincerà  le elezioni del 2015. Clegg ha timore che faccia perdere al partito Liberaldemocratico anche i pochi voti che gli ultimi sondaggi gli attribuiscono. In breve, per usare un termine reso popolare da Margaret Thatcher, tutti sono ‘frit’ (espressione dialettale per frightened, spaventati). Sembra una parodia in stile MontyPython della sparatoria finale del film western: «Il Buono, il Brutto e il Cattivo». Tre ottimi tiratori che si fissano negli occhi sotto il sole cocente – solo che nella versione britannica piove, le pistole sono ad acqua e i tre segretamente non vedono l’ora di andarsene a bere una buona tazza di tè.
Ma non possono, e non devono. È vero, l’Europa non rientra tra le massime priorità  degli elettori britannici. La gente ha in mente i posti di lavoro, il costo del carburante, la scuola, gli ospedali, la criminalità , l’immigrazione. Ma pensa anche all’Europa. Quando, se sarà , le cose andranno meglio in patria e i contorni della Ue post crisi saranno più definiti, i cittadini vorranno essere consultati. Se tutti e tre i leader di partito, il Buono, il Brutto e il Cattivo – lascio a voi decidere come distribuire i ruoli – dovessero accordarsi in questo senso, può darsi che nei prossimi anni la questione europea perda addirittura importanza in Gran Bretagna.
Non sarebbe però il caso di rimandare il referendum alle calende greche. In questo caso il domani è vicino, arriverà  tra il 2015 e il 2020. Dopo più di quarant’anni
avremo nuovamente la possibilità  di condurre un dibattito serio sulla posizione della Gran Bretagna in Europa e nel mondo – ben diverso dalla guerra montata dai tabloid che abbiamo vissuto nei vent’anni successivi al trattato di Maastricht, difficile parto dell’allora primo ministro conservatore John Major. Sarà  compito dell’attuale governo conservatoreliberaldemocratico e del governo successivo, qualunque sia il suo colore politico, porre le basi, collaborando per quanto possibile con i partner europei, per ottenere l’accordo più vantaggioso per la Gran Bretagna. Tutto questo è fattibile, lo dimostra l’ottima decisione recentemente assunta sull’unione bancaria dell’eurozona. Nella Ue c’è chi ci vedrebbe volentieri girare sui tacchi (come si dice in francese?) ma anche chi, e sono molti, non da ultimi i tedeschi e i polacchi, davvero auspica che restiamo.
La mia attività  di saggista ed editorialista è da sempre legata alle tematiche europee e personalmente guardo con entusiasmo alla prospettiva di un grande dibattito referendario. Credo che saremo noi filo europei a vincere, anche se molti dei miei amici temono il contrario. Non penso che i britannici si siano fatti frastornare dai miti euroscettici spacciati dal Sun e dal Daily Mail al punto da decidere che uscire dalla Ue e ritrovarsi come la Norvegia, ma senza petrolio, o la Svizzera, sia l’opzione migliore per questo paese. E se invece vinceranno gli euroscettici? Beh, sarà  un errore storico, ma lo avrà  voluto il popolo. Sono un sostenitore del progetto europeo, ma ancor più credo nella democrazia. Forza allora, votiamo, e vinca la logica migliore.
Traduzione di Emilia Benghi


Related Articles

La guerra per il gas e la crisi ucraina, il (pericoloso) bluff continua

Loading

L’analisi. Grazie alla sprovveduta Ue gli Usa si propongono, con l’«invasione russa» – che non c’è – come i fornitori dell’Europa. Ma è un bluff: per i costi, la logistica surreale e i danni ecologici

Elezioni europee. Il Regno Unito andrà al voto, incertezza sul parlamento

Loading

È caos sui seggi: il numero degli europarlamentari, per il momento, torna a 751, e i vincitori dei 27 seggi che erano stati spartiti dovranno aspettare la Brexit per occupare il posto

Dalla Libia alla Costa D’Avorio Sarkozy presidente “guerriero” per riconquistare i francesi

Loading

Il ritorno alla Grandeur sulla scena internazionale. La nuova strategia punta a far risalire nei sondaggi l’Eliseo, la cui popolarità  è a livelli molto bassi Dopo la scarsa comprensione di quanto accadeva nei paesi arabi, ha deciso di impegnarsi a Tripoli

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment