La lunga notte araba: viaggio nella sollevazione permanente

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Lo scontro, accesissimo, non manca di produrre riverberi sui rapporti istituzionali: proprio in questi giorni sta facendo discutere il blocco, da parte dell’Assemblea Nazionale Costituente, dei fondi destinati alla Presidenza della Repubblica di Moncef Marzouki, uomo espressione del mondo laico. Il provvedimento, prendendo origine da un organo a maggioranza (relativa) filoislamica, suscita interpretazioni maliziose. Fuori dai luoghi del potere, la situazione non appare migliore: la morsa della crisi economica agita drammaticamente gli umori della piazza, determinando manifestazioni dal ritmo incessante.

Libia. Il dopo Gheddafi, in sintonia con le previsioni di molti, presenta un’architettura del potere complessa e frastagliata. Il crepuscolo del Colonnello ha fatto emergere divisioni che vanno ben aldilà  della tradizionale dicotomia fra Tripolitania e Cirenaica. Malgrado la positiva (e per certi versi inattesa) esperienza delle elezioni di Luglio, con l’affermazione della colazione guidata dal moderato Mahmoud Jibril, il paese resta legato a modelli di espressione del potere clanici o famigliari: elemento che stimola appetiti energetici non solo occidentali e che favorisce ulteriori disgregazioni. Il pericolo di scissioni risulta, per il momento, scongiurato. Ad ogni modo, il fragile equilibrio creatosi rischia di essere terreno di coltura ideale per gruppi estremistici o criminali, nonché un fattore di instabilità  per le realtà  confinati.

Egitto. L’Egitto dei Fratelli musulmani propone un quadro ancora più teso: l’approvazione, per referendum, della Carta costituzionale promossa dal presidente Morsi, ha scatenato la protesta delle opposizioni, che preannunciano ricorsi alla Suprema Corte. Il 63,8 % di si non smorza l’accusa di irregolarità  nelle operazioni di voto, che si somma ai timori per un testo debole sul piano delle garanzie e troppo sbilanciato sulle posizioni filoislamiche. Significativo, in tal senso, il dato della astensione: prossima ad uno sconfortante 70%. Alle manifestazioni di piazza si unisce una fronda interna alla magistratura, che ha largamente cercato di boicottare il voto. Non meno critico l’atteggiamento delle forze armate: chiuse in un silenzio contestativo. Non incoraggia il rasserenamento del clima l’apertura, da parte della Procura generale, di un fascicolo d’inchiesta a carico dei maggiori esponenti dell’opposizione.

Siria. Il caso Siria continua ad animare il lavoro delle cancellerie internazionali. L’ostinata resistenza del presidente Bashar al-Assad ha determinato l’evoluzione del conflitto in aperta guerra civile. Benché il gioco della propaganda non consenta di attribuire una precisa paternità  ai fatti di sangue, sempre più efferati, il regime appare tanto screditato da non avere un futuro. È solo questione di tempo. La situazione militare, del resto, appare precaria, come testimoniano le opportunistiche defezioni di uomini chiave potere: ultima fra queste quella del generale Abdul-Aziz Jassem al-Shalla, capo della polizia militare. Inoltre, l’isolamento diplomatico comincia a farsi intollerabile: lo stesso governo russo, per bocca del ministro degli esteri Lavrov, ha posto fine alla politica di appoggio incondizionato attuata, fino ad oggi, da Mosca. L’auspicio (pubblico) di un’apertura di dialogo con le forze di opposizione risulta essere un messaggio chiaro in questa direzione.

Yemen. La transizione morbida che ha favorito la successione del vice presidente Abd Rabu Mansur Hadi, al presidente Ali Abdullah Salih (rifugiato in Arabia Saudita), non ha sopito i fermenti che scuotono la Repubblica Unita: il quadro è quello di una pace armata . Alle tensioni interne fanno eco le mosse dei competitori regionali: segnatamente Arabia Saudita ed Iran. Il piccolo stato arabico sembra essere, infatti, al centro di grandi manovre politico-diplomatiche. Nel Luglio di quest’anno le autorità  di Sana’a hanno denunciato l’esistenza di una centrale spionistica iraniana, costituita allo scopo di appoggiare il movimento separatista degli Houthi. La scoperta ha generato gravi tensioni fra i due paesi. I rapporti con Riyad, d’altro canto, non sono migliori, a causa di dispute territoriali che il trattato di Taif (del 1934) non ha saputo sanare.

Attenzione. Pur considerando gli aspetti critici, sarebbe ingeneroso trattare un fenomeno di portata storica, come la primavera araba, con sufficienza. I giudizi negativi vengono spesso dettati da malintesi. Questo caso non fa eccezione: l’equivoco è quello di esaminare i cambiamenti in corso con la lente della consuetudine. Intendiamoci: storia e tradizione hanno un ruolo fondamentale nell’evoluzione della politica, del costume. Come insegna un noto principio fisico, applicabile anche ad ambiti extra scientifici : “Nulla si crea e nulla si distrugge”. Tuttavia, non bisogna incorrere nell’errore di valutare i figli attraverso la conoscenza dei padri. Proprio un antico proverbio arabo recita: “Gli uomini somigliano più al loro tempo che ai loro padri”. Niente di più vero. D’altronde, non bisogna dimenticare che le nazioni in questione sono società  giovani: ovunque la fascia di popolazione inferiore ai trent’anni di età  rappresenta una percentuale rilevantissima della cittadinanza. Una quota sottoposta a nuovi stimoli, nuove possibilità , nuove esigenze. È in atto una metamorfosi culturale.

Concludendo (provvisoriamente). Si possono, certamente, sottolineare le ragguardevoli differenze di ordine geopolitico. Eppure, è possibile individuare un comune denominatore: la scoperta, da parte delle masse arabe, del proprio ruolo e della propria forza. È l’atto di nascita di una diffusa coscienza civile. Un avvenimento dirompente. Una novità  che offre, però, un lato oscuro: se non avverrà  una maturazione, se non verrà  adottato il filtro di una progressiva educazione alla libertà , tutto rischierà  di tradursi in una inclinazione alla sollevazione permanente, perniciosa per l’economia e per gli ancor incompiuti equilibri democratici. La scarsa lungimiranza delle decisioni assunte dagli attuali vertici politici, anch’essi nuovi, in molti casi, a responsabilità  di governo, spinge verso questo esito indesiderabile. Così come l’appoggio che molte amministrazioni estere accordano a componenti della protesta, al fine di indirizzare gli avvenimenti a loro favore: simili operazioni accrescono la frammentazione politica e religiosa, impedendo una stagione autenticamente costituente. Poiché questa è la sfida che devono affrontare le inedite realtà  arabe: aprire una fase inclusiva, che scolpisca nella lettera delle costituzioni i valori condivisi da tutte le anime della società : laiche e confessionali. Non è stato fatto in Egitto, potrebbe di non essere fatto altrove. Se così sarà , la speranza coltivata da tanti, anche a costo della vita, lascerà  spazio ad una lunga notte. Una lunga notte araba.

Omar Bellicini


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