Una piccola riforma per scoraggiare la corsa alle urne
Il primo obiettivo è quello di scongiurare elezioni anticipate a breve scadenza, che con il sistema attuale produrrebbero nuova instabilità . L’idea di alzare, magari al 40 per cento come propone il Pdl, la soglia per ottenere il premio di maggioranza risponde ai dubbi sollevati dalla Corte costituzionale. Ma significherebbe anche scoraggiare la corsa alle urne, perché nessuna coalizione potrebbe illudersi di vincere, come è accaduto a febbraio con esiti disastrosi.
Quando il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, parla di interventi «immediati e mirati» sulla legge elettorale «per eliminarne i difetti», spiega tecnicamente un’operazione che avrà conseguenze politiche. Intanto, si vuole mettere il governo al riparo da agguati all’interno della maggioranza, almeno a breve termine. Se l’obiettivo venisse raggiunto, potrebbe diventare inevitabile prolungare il governo anomalo presieduto da Enrico Letta: almeno fino a che non matureranno riforme istituzionali profonde, destinate a modificare l’intero sistema. E la durata, ma qui si passa nel campo del futuribile, faciliterebbe la fine non traumatica della convivenza tra forze agli antipodi: sebbene il Pd tema la creazione di un partito di centro sul modello Ppe.
I sospetti che già spuntano dopo la riunione di ieri fra il premier Enrico Letta e i capigruppo della maggioranza sono figli della crisi del bipolarismo; e della volontà di opporsi a quello che viene considerato un proporzionalismo strisciante. A sinistra e a destra, molti considerano questa coalizione una parentesi innaturale. E dunque vogliono il ritorno all’alternativa centrodestra- centrosinistra: anche se non ha funzionato. Per questo, rispetto alla proposta del governo ce ne sono altre, subordinate, tese a smontarla. Si indovinano due fronti trasversali. Il primo è cementato dalla sponda del Quirinale, e dalla presa d’atto che nessuno ha i voti per fare da solo.
L’altro è alimentato dalla voglia dei partiti di superare gli equilibri di oggi; di riproporre un bipolarismo che accentui il sistema maggioritario; e, se non ci si riesce, al limite di lasciare le cose come stanno, per non dover pagare il prezzo di una «contaminazione» troppo lunga. Quando Guglielmo Epifani, segretario del Pd, mette in guardia dalla «palude dell’ingovernabilità », sembra riferirsi proprio all’impossibilità per qualunque schieramento di raggiungere percentuali sufficienti a governare; e dunque all’obbligo ad allearsi in Parlamento dopo il voto, come è accaduto per l’assenza di una maggioranza di centrosinistra al Senato: l’ingovernabilità , appunto.
Per questo, nel Pd l’ostilità aperta al cosiddetto «porcellum», e cioè il sistema attuale, è bilanciata dal timore di modifiche tali da farlo rimpiangere. «Dobbiamo stare attenti a come lo si cambia», spiega Walter Veltroni, dando voce a dubbi diffusi nel suo partito. Attenti a non «codificare i governi di grande alleanza». Eppure, se si arrivasse a una soglia più bassa del 40 per cento, il centrodestra avrebbe maggiori possibilità di strappare il «premio»: più di un Pd dato in calo. Non solo: l’unico modo per arrivare davvero alle riforme istituzionali è rendere poco attraenti le elezioni. Alla fine deciderà non il senso di responsabilità , ma la convenienza reciproca. C’è solo da augurarsi che coincidano.
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