Stesi a terra come morti Nuova protesta a Istanbul

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Istanbul Stesi per terra. Morti, come Ethem Sar?sülük, il giovane ucciso ad Ankara durante le proteste delle scorse settimane, con un colpo alla testa esploso a distanza ravvicinata. La protesta in Turchia cambia faccia, ma non per questo diventa meno intensa. Ieri sera fra Istanbul e Ankara ancora circa diecimila persone sono scese in piazza per manifestare contro il governo islamico-moderato, in particolare contro la decisione della Procura di Ankara di rilasciare senza conseguenze l’agente che ha ucciso Ethem. Lo spiegamento delle forze dell’ordine era imponente ma, per la prima volta dall’inizio della protesta, sono usciti dalle caserme per nulla.
È cambiato il modo, ma la rabbia è rimasta la stessa. I giovani di Piazza Taksim sembrano aver accolto la mano tesa dell’Europa e hanno iniziato prima a manifestare, a centinaia in diverse parti del Paese, stando zitti e fermi. Un fenomeno, quello dei «duran adamlar» – gli uomini immobili in piedi – che ha commosso il mondo ed è diventato il simbolo di una protesta incisiva e pacifica al tempo stesso, che non può essere repressa brutalmente, com’è avvenuto nelle manifestazioni delle scorse settimane, e dove la decisione di sdraiarsi rappresenta l’ultima, intensa evoluzione.
Ma la tensione nel Paese rimane alta e la polizia è nell’occhio del ciclone. Due giorni fa, nella parte asiatica di Istanbul e nella capitale Ankara, altri due cortei sono stati dispersi dalle forze dell’ordine. Su internet, poi, è stato diffuso un video agghiacciante, dove 15 poliziotti picchiano tre manifestanti in un garage di Antalya, la città simbolo delle vacanze estive in Turchia, nota per il suo mare e la spensierata vita notturna.
Le immagini dei giovani che continuano a manifestare senza arrendersi, ma in modo pacifico, contrastano con l’atteggiamento del governo. Erdogan domenica ha parlato con il presidente americano Barack Obama, assicurandogli sforzi per il rispetto della libertà di espressione e il miglioramento degli standard democratici. Ma da giorni il premier turco ha puntato il dito contro un gruppo di manifestanti, accusati di aver bevuto alcol nella moschea di Istanbul che aveva offerto loro riparo durante i violenti scontri con la polizia nel quartiere di Besiktas.
Ieri poi nel suo discorso del martedì davanti al proprio gruppo parlamentare, il primo ministro è tornato a menzionare le influenze straniere, che avrebbero giocato un ruolo chiave nell’organizzazione delle manifestazioni, e la stampa internazionale, accusata per l’ennesima volta di fare cattiva informazione.
Il clima è quello di una caccia alle streghe. Lo stesso Mit, il servizio segreto turco, ha annunciato un’inchiesta approfondita sulle responsabilità di Paesi stranieri nelle proteste delle scorse settimane.
Il sindaco di Ankara, Melih Gokcek, e il ministro delle Finanze, Mehmet Simsek, hanno iniziato a usare Twitter per attaccare alcuni media stranieri. Simsek se l’è presa soltanto con la Cnn, accusata di dare informazioni false, mentre il primo cittadino della capitale ha attaccato direttamente la giornalista del servizio turco della Bbc, Selin Girit, accusata di essere una spia degli inglesi.


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