Bonino: “Dimettermi? Non serve a niente”

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«E NON a caso dalla notte del 31 maggio, da quando ne sono venuta a conoscenza, quasi non mi sono occupata d’altro. Tutto quello che posso fare io lo farò. Qualcuno dovrà pagare, dovrà dire davanti all’opinione pubblica: si sono stato io». Se c’è qualcuno a cui la “rendition” della signora Alma Shalabayeva brucia sulla pelle è Emma Bonino. Considerata in patria e all’estero una paladina di diritti civili, si può immaginare cosa abbia pensato in questo periodo nel far parte di un governo a cui è stato caricato sulle spalle un caso infamante come questo. A via di Torre Argentina, sede del partito radicale, i dissidenti kazaki come Ablyazov sono di casa, partecipano alle riunioni. Anche per questo, per la sua storia personale e politica, è proprio sul ministro degli Esteri che oggi la luce dei riflettori si fa più intensa. Cosa non ha fatto e cosa avrebbe potuto fare? E soprattutto
cosa farà ora? Sospetta complicità politiche, favori fatti «all’amico» di Berlusconi, Nursultan Nazarbayev?
Anzitutto Bonino non ha pensato di dimettersi per quello che è successo. Ti dimetti o minacci di dimetterti se serve a evitare che accada qualcosa. «Ma il 31 maggio, quando ho saputo di questa storia, quella poveretta era già in Kazakhstan, non sarebbe servito a nulla un gesto politico di quel tipo. Ho cercato invece di essere utile a lei. Abbiamo incontrato due volte il team di avvocati, abbiamo verificato con il nostro console ad Almaty che stesse bene, che potesse uscire di casa, l’abbiamo invitata al consolato per farle firmare il ricorso contro l’estradizione ed esercitare così il diritto alla difesa internazionale. Mi sono subito fatta mandare il dossier, ho convocato il capo della Polizia alla Farnesina». È tanto, è poco? «È quello che al momento si poteva fare». Insomma, come nel caso dei marò in India, il governo italiano sembra preferire la strada del dialogo e della moral suasion piuttosto che le maniere forti. Anche perché «giuridicamente — ammette sconsolata — abbiamo le mani legate. E comunque, nonostante tutto, stiamo cercando di vedere se c’è qualche spiraglio anche minimo, qualcosa a cui appigliarsi». Se «giuridicamente» nulla si può fare contro la giustizia di uno stato sovrano, politicamente si può fare molto con un regime che ha stretti rapporti di amicizia e di affari con l’Italia. «Ma di queste cose certo non vengo a parlare con i giornalisti».
Riavvolgiamo il nastro. Mentre Shalabayeva viene prelevata con la forza, mandata al Cie come una clandestina e rispedita in patria con modalità da film di 007, in quei tre giorni terribili, il governo italiano e la Bonino in particolare cosa sanno e cosa fanno? Formalmente nulla. «Io di questo pasticcio non so davvero niente, so invece quello che è successo dopo il 31 maggio, quando vengo informata di quello che è successo e avverto il presidente del Consiglio e i ministri». Letta, Bonino e Alfano si trovano insieme sul palco della festa della Repubblica, il 2 giugno. Il ministro degli Esteri si avvicina al premier e ad Alfano, li prende in disparte e spiega chi sia Shalabayeva, cosa le è accaduto, e quanto grande sarà lo scandalo che sta per abbattersi sull’Italia. «Dovete capire cosa è successo, informatevi», insiste. Entrambi le sembrano cadere dalle nuvole. «Molte cose non hanno funzionato è ovvio – riflette ora il ministro degli Esteri – e non sto assolvendo nessuno. Resto però convinta che, a livello politico, i ministri non fossero informati, il che è ancora peggio per certi aspetti. Non c’è traccia di un coinvolgimento del livello “politico” in questa storia. Evidentemente la pressione da parte del Kazakhstan è stata fortissima, ma si è scaricata ai livelli più bassi ». Come sia stato possibile che questa non sia arrivata a livello più alto è proprio l’oggetto dell’indagine affidata al capo della Polizia per scoprire i responsabili. Bonino azzarda un’ipotesi: «Può darsi che abbiano approfittato del vuoto di potere al vertice degli apparati prima del 31 maggio». Il 31 maggio il consiglio dei ministri nomina il nuovo capo della Polizia, che tuttavia prenderà possesso dell’ufficio soltanto il giorno successivo. Quando ormai la signora Ablyazov è atterrata nel suo paese. Chi ha voluto portare a termine la “rendition” aveva fretta di farlo prima che arrivasse Pansa al Viminale? E quale è stato il ruolo del ministro dell’Interno? Bonino lo descrive «furibondo » per la vicenda, in questo modo avallando l’ipotesi che Alfano ne fosse all’oscuro. Ma chiaramente anche lei è consapevole della voce che gira nelle redazioni di tutto il mondo e a cui il Financial Times ha dato corpo pubblicando una fotografia di Berlusconi e Nazarbayev amichevolmente vicini. La voce, per dirla brutalmente, di un favore chiesto dal Cavaliere ad Alfano per compiacere il potente dittatore della steppa asiatica, seduto su miliardi di dollari di gas e petrolio. E tuttavia il ministro degli Esteri non dà credito a un’ipotesi del genere: «Per quanto riguarda il livello di governo, i ministri, una cosa così non sta in piedi. Berlusconi e l’amicizia con Nazarbayev? Se è per questo sono uscite di recente anche foto di Nazarbayev con Cameron e con Barroso…il Kazakistan è un paese che suscita un certo appetito da parte di tutti. Se invece qualcuno, a livelli più bassi, ha voluto fare favori questo lo scoprirà l’inchiesta interna».
Infine e soprattutto. Ma come è stato possibile che il governo sia stato cieco e sordo? «Io non ne sapevo niente, Alfano nemmeno. Del resto anche quattro magistrati, mica uno, hanno convalidato quegli atti di espulsione!».


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