Cacciari: maxi opera inutile mi ricorda il Ponte sullo Stretto ma nessuno mi ha ascoltato

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MILANO — Da sindaco di Venezia, è sempre stato un fiero oppositore del progetto Mose. E adesso che si è scatenata la bufera giudiziaria sui vecchi vertici del Consorzio, Massimo Cacciari non le manda certo a dire, ricordando di avere predicato nel deserto «per vent’anni». Ma più che all’indirizzo degli indagati, il suo è un atto d’accusa che riguarda la politica: «Quella di destra e quella di sinistra; su quell’operazione erano tutti d’accordo, e io sono rimasto inascoltato».
Il tempo le ha dato ragione, professor Cacciari? Soddisfatto della piega che hanno preso gli eventi con l’ultima ondata di arresti?
«No, guardi, il punto non è questo. Quando arrivano gli avvisi di garanzia e i provvedimenti cautelari dispiace sempre. Del resto le mie denunce non hanno mai riguardato l’aspetto penale della vicenda», Dunque?
«Al di là di tutto questo, c’è una cosa che mi preme sottolineare. In questa storia c’è stato chi ha sostenuto con forza le ragioni del no al progetto. L’ho fatto per troppi anni, fin dall’inizio, producendo una valanga di documentazione che resta agli atti. Non ho mai denunciato nessuno, non era il mio compito. Mi è sempre interessato il merito del problema, che ho posto in via ufficiale, nelle sedi giuste».
Senza grandi risultati.
«Già. Ricordo quando fui convocato a Roma al comitato interministeriale, il presidente del Consiglio era Prodi, nel suo secondo governo. Ho votato contro il progetto, in coerenza con quello che avevo sempre sostenuto. Ma l’hanno approvato».
Le ragioni di questa sua contrarietà?
«Le ho esposte anche quella volta, sono andato avanti per anni, a sostenere due cose ».
La prima?
«Quell’opera presentava delle criticità evidenti, anche sotto il profilo tecnico. C’era un rischio evidentissimo, fin dall’inizio: che servisse a ben poco anche per arginare il fenomeno dell’acqua alta».
E poi?
«Il secondo aspetto riguarda le procedure adottate. Ho sempre sostenuto che la decisione di costituire un consorzio era tale da prefigurare condizioni molto favorevoli a pratiche monopoliste».
E cioè?
«Se sei l’unico appaltatore e incentri tutto sul Mose, è chiaro che fai quello che vuoi. Non ho mai detto che questo fosse illegittimo, ho denunciato che era profondamente sbagliato. E sono stato il solo a dirlo. Li ho avuti tutti contro, i governi di centrodestra e quelli di centrosinistra, e pure la grande stampa al completo. È stato un fallimento bipartisan, come ricordai nell’agosto del 2006, dopo la ricognizione del Cipe che confermò quel che dissi addirittura nel ‘94».
Quasi vent’anni fa…
«Si capiva benissimo già allora che stavano dando il via a un’impresa costosissima senza avere la più pallida idea di come tirare fuori i soldi necessari, sia per la costruzione dell’opera che per la sua manutenzione».
Tutto sbagliato?
«Tutto: il metodo, le procedure, l’approccio politico».
Si è fatto un’idea del perché di questa scelta?
«Semplicissimo: perché c’erano sei miliardi di lavori tutti concentrati in un’opera unica. E c’era una sola stazione appaltante. La politica è stata d’accordo».
Ma non è un’opera utile, il Mose?
«Non con quelle procedure. Se devo trovare un’analogia tra il Mose e un’altra opera mi viene in mente un’altra cosa che ha del clamoroso».
Quale?
«Il Ponte sullo Stretto. Tutto concentrato, un unico appaltatore. Ma del Ponte almeno non si parla più».


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