Quei porporati con le mani alzate e la strategia anti-carismatici

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Molti dei prelati staranno ancora chiedendosi cos’è quel rito collettivo, di solito riservato ad adunate di altro genere. Difficile, invece, è che qualcuno di loro si sia scandalizzato. Perché qui in Brasile la Chiesa di Roma di barriere — quanto meno coreografiche — ne ha già infrante tante in questi anni, e deve continuare a farlo. Perché ne ha bisogno per richiamare a sé i giovani, primi nell’emorragia della fede verso i culti evangelici, assai spregiudicati nell’attirare con suggestioni emotive ed eventi di massa. Soprattutto tra alcune classi sociali e nelle periferie urbane, afflitte dalla miseria e dalla disgregazione familiare.
È talmente pronta la Chiesa brasiliana all’invito di papa Francesco a tornare «ad annusare le pecorelle», che da 15 anni eventi come quello di Copacabana non sono una novità in un Paese che va pazzo per la musica e i riti collettivi. Cominciò un ragazzone di origini italiane chiamato Marcelo Rossi a bloccare la già caotica San Paolo con le sue messe oceaniche in strada, all’inizio degli anni 2000. E a vendere dischi come una popstar mondiale. Padre Marcelo è un prete cattolico di Rinnovamento carismatico, corrente che non trova unanimità tra le gerarchie. Imita troppo i neopentecostali, è l’accusa, la fascia degli evangelici latinoamericani in più forte crescita. Molto rito e poca sostanza. Tanto che la presenza dei carismatici nelle Pastorali o nelle Comunità ecclesiali di base è assai ridotta.
Padre Reginaldo Manzotti, altro oriundo italiano, può con qualche diritto paragonarsi al Papa superstar di Copacabana, avendo lui stesso riunito 1,2 milioni di fedeli a Fortaleza due anni fa per la registrazione live del suo cd Milhoes de Vozes. Manzotti è diventato famoso con un programma radio trasmesso in tutto il Brasile e scrive libri. Rifiuta etichette, si definisce appena un evangelizzatore. Quanto a copie vendute, nessuno batte però padre Fabio de Melo, il cui ultimo cd ne ha fatte 600 mila. Sono cifre sensazionali, mostri sacri della musica brasiliana come Gilberto Gil o Caetano Veloso ormai non vanno oltre le 20-30 mila copie in patria. Padre Fabio, 42 anni, non usa la tunica ma jeans e camicie scure eleganti. Vive in tournée ed è salito più volte sul palco a Copacabana. È l’autore del tormentone Sii benvenuto! dedicato al Papa argentino, che sulla spiaggia sarà stato ascoltato duecento volte questa settimana.
Ma basteranno la musica, gli stadi, i preti pop, il vescovo-uno- di-noi? I numeri dicono di no, la nazione cattolica più grande del mondo non smette di perdere fedeli. Dal 2000 al 2010 i ragazzi tra i 15 e i 19 anni che si definiscono cattolici sono scesi da 13,3 a 10,8 milioni. Un lieve aumento si riscontra nella fascia tra i 25 e i 29 anni. Sono dati tratti dai censimenti nazionali. Papa Francesco, che viene da un Paese che conosce un fenomeno analogo (anche se gli argentini passano più all’ateismo che agli evangelici) sa bene che serve altro. Nella Gmg di Rio la disfida per i fedeli con culti e sette varie è rimasta sotto traccia. Ma i continui appelli del Papa a uscire dalle sagrestie, incontrare la sofferenza e le ingiustizie, vogliono dire soltanto una cosa: è nel lavoro sociale che i cattolici possono e devono ricostruire la loro egemonia. Se questo significherà la resurrezione dei movimenti progressisti del continente, dopo i «silenzi» imposti da papa Wojtyla negli anni Ottanta, è da vedere. Di sicuro, per risalire la china, le coreografie non basteranno.
Rocco Cotroneo


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