La crisi ucraina e il dibattito politico in Europa Orientale

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Sino a qual­che tempo fa i son­daggi in Polo­nia indi­ca­vano il sor­passo di Diritto e giu­sti­zia (PiS), il par­tito popu­li­sta capi­ta­nato dall’ex primo mini­stro Jaro­slaw Kac­zyn­ski, nei con­fronti della Piat­ta­forma civica (Po) dell’attuale capo del governo Donald Tusk. Una for­ma­zione dal cor­redo cro­mo­so­mico cristiano-democratica. L’ascesa di PiS è dipesa sia dalla stan­chezza del campo di Tusk, al secondo man­dato, sia sulla reto­rica mar­tel­lante della «reli­gione di Smo­lensk», come la chia­mano a Var­sa­via. Smo­lensk è la città russa dove nel 2010 è pre­ci­pi­tato l’aereo di stato con a bordo Lech Kac­zyn­ski, il gemello di Jaro­slaw, all’epoca capo dello Stato. Doveva recarsi nella vicina Katyn, dove nel 1940 i sovie­tici assas­si­na­rono decine di migliaia di uffi­ciali polac­chi. Jaro­slaw Kac­zyn­ski ha dipinto lo schianto aereo del 2010 come il frutto di una con­giura, sol­le­ci­tando gli ine­vi­ta­bili riflessi russo-scettici della società polacca, dovuti al retag­gio della seconda guerra mon­diale e del comunismo.

Negli ultimi tempi la Piat­ta­forma civica ha recu­pe­rato ter­reno. Di più, alle euro­pee potrebbe con­fer­marsi come il par­tito più forte. Una buona noti­zia, visto che nel 2015 ci saranno le legi­sla­tive. In tutto que­sto il para­dosso è che pure il primo mini­stro sta caval­cando la que­stione russa, sep­pure evi­tando la mistica.

La crisi ucraina ha dato molta ben­zina al governo. Nelle scorse set­ti­mane Tusk e il suo mini­stro degli esteri Sikor­ski, hanno messo l’accento sulla sicu­rezza. La Polo­nia con­fina con l’Ucraina e l’Ucraina è desta­bi­liz­zata dalla Rus­sia; quindi Var­sa­via ha biso­gno di più Europa e soprat­tutto di più Nato (il che non signi­fica rinun­ciare agli affari eco­no­mici con la Rus­sia). Que­sto il senso dei loro discorsi, volti a tra­sci­nare l’Ucraina in un dibat­tito elet­to­rale prima piut­to­sto piatto e a farne il perno della riscossa della Piat­ta­forma civica. I numeri direb­bero che la mossa è riuscita.

La Polo­nia non è l’unico paese della fascia orien­tale dell’Ue che a causa delle geo­gra­fia e dell’economia, ha visto il fat­tore ucraino entrare di forza nel dibat­tito poli­tico. È il caso della Bul­ga­ria, dove il sen­ti­mento filo-russo è gra­ni­tico nella società e risulta spal­mato su tutto l’arco par­la­men­tare, con pic­chi tra il Par­tito socia­li­sta e gli ultra­na­zio­na­li­sti di Ataka.

I socia­li­sti espri­mono l’attuale primo mini­stro, Pla­men Ore­shar­ski. L’esecutivo è reduce da una lunga pro­te­sta popo­lare e le euro­pee diranno se l’urto è stato retto o meno. Finora Ore­shar­ski ha appog­giato le san­zioni comu­ni­ta­rie, ma s’è espresso con­tro la pos­si­bi­lità di misure più dure, ben­ché abbia lasciato inten­dere che non porrà veti. In com­penso Volen Side­rov, il capo di Ataka, osten­ta­ta­mente pan­sla­vi­sta, ha minac­ciato di stac­care la spina al governo, se non dovesse opporsi all’eventuale ina­spri­mento delle san­zioni euro­pee. Il fatto è che a Sofia l’esecutivo è di mino­ranza e sta in piedi solo gra­zie all’appoggio esterno di Ataka. Un’inedita alchi­mia rosso-nera.

Poi c’è la Roma­nia che con l’Ucraina con­fina; il con­flitto con­ge­lato della Trans­ni­stria, la pro­vin­cia ribelle della vicina Mol­dova, potrebbe sur­ri­scal­darsi a causa del con­fronto Kiev-Mosca. Ma forse è pro­prio la serietà del tema che ha con­si­gliato il primo mini­stro socia­li­sta Vic­tor Ponta e il pre­si­dente Tra­ian Base­scu, l’uomo cari­sma­tico della destra di Buca­rest, di tenere l’argomento sotto il tappeto.

Un po’ il ragio­na­mento del primo mini­stro unghe­rese Vik­tor Orban, che ha sì soste­nuto che l’Ucraina va inte­grata nello spa­zio euro­peo, ma ha evi­tato di cri­ti­care seve­ra­mente la Rus­sia, con cui vanta buoni rap­porti. Senza con­tare che Mosca forag­gerà con 10 miliardi di euro la costru­zione di due nuovi reat­tori nell’unica cen­trale del paese magiaro. La destra radi­cale di Job­bik, uscita raf­for­zata dalle recenti poli­ti­che, ha avuto sulla crisi ucraina una posi­zione molto più netta, schie­ran­dosi dalla parte della Rus­sia. Da cui rice­ve­rebbe soldi, si voci­fera. Si dice lo stesso del pic­colo par­tito per­so­nale del pre­si­dente ceco Milos Zeman, ex social­de­mo­cra­tico. Risul­te­rebbe infar­cito di lob­bi­sti russi. Vero o no che sia, in que­ste set­ti­mane Zeman e un po’ tutta la sini­stra ceca hanno tenuto i piedi su due staffe. Da una parte hanno rimar­cato che Praga e Mosca sono legate eco­no­mi­ca­mente e dall’altra hanno con­dan­nato la poli­tica russa, con Zeman che ha para­go­nato la Kiev odierna e la Praga del 1968, invasa dal Patto di Varsavia.



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