Fiat pronta ad alzare il tetto dei recessi per mandare in porto la fusione con Chrysler

Fiat pronta ad alzare il tetto dei recessi per mandare in porto la fusione con Chrysler

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TORINO . Il trasferimento delle sedi di Fiat e la nascita di Fca si farà anche a costo di aumentare la cifra che dovrà pagare la società agli azionisti che esercitano il recesso. E’ quanto emerge dalle cinque pagine di comunicato ufficiale con cui il Lingotto ha risposto a una precisa richiesta della Consob sui prossimi passaggi del progetto. Le indicazioni contenute nella lettera erano già note, ma il fatto di sottolineare la possibilità di alzare la soglia dei 500 milioni oltre la quale l’operazione fallisce indica l’eventualità almeno teorica che l’esercizio dei diritti di recesso faccia saltare la fusione.
Ipotesi sulla quale la Borsa sembrava scommettere nei primi giorni di agosto, all’indomani dell’assemblea degli azionisti che aveva approvato il progetto. Ma nelle ultime sedute il titolo, che era sceso fino a 6,26 euro, è risalito a 6,95 (+3,1 per cento) comunque per ora lontano dai 7,72 euro che otterranno coloro che intendono recedere. La ripresa del valore delle azioni viene in ogni caso interpretata positivamente al Lingotto.
La partita è ancora lunga e il fatto che esista un secondo piano B (il primo, già annunciato da Marchionne, è quello di sistemare presso altri azionisti i titoli del recesso facendo scendere sotto i fatidici 500 milioni l’esborso della società), dimostra che lo stato di salute del piano A preoccupa comunque i vertici di Torino. Il nodo di fondo è nella scelta degli Agnelli di fissare a 500 milioni di euro l’asticella per il rimborso del valore
delle azioni a chi non intende aderire alla nuova Fca. Oltre i 500 milioni il progetto di fusione è destinato a saltare. Un livello molto basso, soprattutto alla luce del fatto che in assemblea hanno votato contro la fusione 100 milioni di azioni, ben al di là dei 65 milioni che provocherebbero l’esborso di 500 milioni da parte della società. Votare contro in assemblea non significa automaticamente esercitare il recesso, ma significa
mettersi nelle condizioni di farlo. Il primo agosto, in conferenza stampa, Marchionne ha fatto notare che «la società ha il diritto di offrire ad altri azionisti i titoli provenienti dal recesso». Così all’inizio di settembre (quando il comunicato ipotizza che si possa conoscere il numero di coloro che recederanno) Fiat potrà offrire ad altri i titoli restituiti ma dovrà farlo a 7,7 euro, sperando che nel frattempo il valore in Borsa sia diventato simile.
Se questo non avvenisse Fiat ipotizza un secondo piano B. La condizione sospensiva del limite dei 500 milioni, si legge «non può essere rinunciata dalla Società se non attraverso un altro voto degli azionisti formulato in una assemblea straordinaria convocata a tale fine. Questa assemblea potrebbe adottare, in luogo della rinuncia di cui sopra, un nuovo progetto di fusione che, previa approvazione del Consiglio di amministrazione e subordinatamente a taluni ulteriori adempimenti, revocherebbe la precedente delibera determinando un nuovo prezzo di liquidazione da recesso ». Come si vede, si tratta di una ipotesi perché la via maestra per Torino continua ad essere quella dell’attuale progetto con la soglia a 500 milioni. Ma se quella cifra venisse superata, fallito il primo tentativo Fiat ipotizza di tentarne un secondo modificando le attuali condizioni e facendo salire l’asticella, dunque la somma che la società è disposta a pagare per evitare che il recesso faccia fallire la fusione. Ipotesi che richiede i suoi tempi (alcuni mesi) e una nuova assemblea straordinaria a Torino. In ogni caso, come si legge nel comunicato di ieri, se la fusione non venisse completata «non si avrebbe alcun impatto sui rapporti tra Fiat e Chrysler». Tranne il mancato trasferimento della sede e la mancata quotazione a Wall Street.



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