L’Egitto condanna l’ex leader Morsi Ma gli risparmia l’impiccagione

L’Egitto condanna l’ex leader Morsi Ma gli risparmia l’impiccagione

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GERUSALEMME «Io sono l’unico presidente della Repubblica!». A fine mattina un omino in tuta bianca, circondato da una folla di poliziotti in nero, viene trascinato fuori dal tribunale del Cairo e messo di corsa su un elicottero. In diretta tv, dalla gabbia, ha appena il tempo d’alzare le simboliche quattro dita della protesta. Di ricordare l’ultima strage dei Fratelli musulmani. Di gridare il suo testamento politico. E di sparire così, piaga d’Egitto ormai rimarginata. «Dio è il più grande e ti vendicherà!», gli urlano i tifosi che affollano l’aula. Nemmeno loro sanno quando: Mohamed Morsi, l’uomo che per un anno volle farsi Faraone fino a gonfiarsi di superpoteri, per almeno vent’anni tornerà a rosolare impotente sulla peggiore delle grate, Burj al-Arab, il supercarcere di Alessandria.
Stavolta, a solidarizzare in piazza Tahrir non ci va più nessuno. La primavera degli islamisti è ormai un inverno che ha lasciato sottoterra 1.400 morti, nelle carceri 2.400 fratelli condannati a 11mila anni, nell’esilio turco o qatarino decine di leader e ora nell’archivio della Storia pure lui, primo presidente eletto dopo Mubarak e subito deposto dal generale Al Sisi.
Gli è andata bene, perché rischiava la pena di morte. «Non mi farò condizionare dagli umori delle folle», aveva promesso il giudice Ahmed Sabry Youusef. Ci sono riuscite probabilmente le pressioni americane: derubricate le accuse d’omicidio, Morsi e altri dodici sono stati condannati per le violenze, i sequestri di persona e le torture. «La sentenza è nulla», protesta la Fratellanza che farà appello. «Questi giudici sono al servizio del generale golpista», commenta da Doha la guida spirituale, Yussef al-Qardawi. Forse, è solo la giustizia egiziana sempre sensibile al potente di turno: sotto Morsi incarcerò il clan Mubarak (salvo alleggerire il carico con l’arrivo di Al Sisi) e ora non ignora i miliardi che Usa e sauditi versano alla giunta militare anti-islamisti. «Un processo farsa», concorda Amnesty: con 24 difensori su 28 rigettati, 7 contumaci, una sfilza di testimoni ricusati, Morsi che rifiutava perfino di farsi chiamare «imputato» e non rispondeva alle domande, una corte composta più da militari che da civili…
L’amaro calice non è finito: in maggio, l’ex presidente sarà processato anche per spionaggio in favore del Qatar, mediante la cessione di documenti riservati alla Tv Al Jazira, per aver complottato con Iran-Hezbollah-Hamas, per frode finanziaria, addirittura per essere evaso dal carcere durante la rivolta 2011 contro Mubarak e per oltraggio alla corte. Di nuovo rischierebbe la pena di morte: in tutto il Medio Oriente, nessuno ne infligge più dell’Egitto, 194 condannati negli ultimi tre mesi e 509 l’anno scorso. Difficile però che rischi l’impiccagione: perché aizzare la piazza, quando si può sempre ricorrere all’ergastolo? Prima di far pendere il cappio, la legge esige il parere vincolante del Gran Muftì: difficilmente darebbe pollice verso a Morsi. E fra tanti morituri, finora, sul patibolo c’è finito soltanto un poveraccio.
Francesco Battistini


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