Arcelor Mittal Italia, la procura indaga per possibile danno all’interesse pubblico

Arcelor Mittal Italia, la procura indaga per possibile danno all’interesse pubblico

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L’addio di Arcelor Mittal dall’Italia diventa una questione meramente giudiziaria che si risolverà nel giro di una decina di giorni. Gli indiani se ne vogliono andare, il governo e i sindacati glielo vogliono impedire. E da ieri paiono avere la magistratura dalla loro parte.

Ad intervenire con un comunicato stampa ad ora di pranzo è direttamente il procuratore capo di Milano – città sede legale di Arcelor Mittal Italia – Francesco Greco. L’ex pm di “Mani pulite” annuncia un atto senza precedenti. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, responsabile del dipartimento per i reati contro la pubblica amministrazione, con i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici. Si tratta dei titolari dell’indagine sulla bancarotta dei Riva con la quale recuperarono 1,3 miliardi di euro depositati in Svizzera, poi destinati al risanamento ambientale dell’acciaieria di Taranto. Indagheranno sull’ipotesi che in sede di esecuzione del contratto di affitto Arcelor Mittal abbia «posto in essere condotte rilevanti sul piano penale e che abbiano causato l’eventuale depauperamento del ramo d’azienda» – per esempio i potenziali danni agli altoforni. In più si indagherà sul comunicato del 4 novembre, giorno in cui l’azienda annunciò ai sindacati l’addio e iniziò a «spegnere» Taranto – e sul loro impatto sull’andamento del prezzo dell’acciaio sul mercato internazionale.

I magistrati si costituiranno, depositando un atto scritto, anche nel procedimento civile sul recesso del contratto presentato da Mittal – su cui ieri i commissari di Ilva hanno presentato contro-ricorso d’urgenza – che sarà trattato dal giudice Claudio Marangoni. Ma già in queste ore i pm stanno lavorando all’atto che presenteranno in vista dell’udienza che sarà fissata entro 10-15 giorni in cui si tratterà il ricorso presentato dai commissari di Ilva con il quale si ribadisce che «il preteso recesso è stato indebitamente esercitato» perché «non c’è alcuna garanzia della continuità dello “scudo penale” nel contratto di affitto».

La notizia dell’indagine è piombata a poche ore del vertice convocato dal ministro Patuanelli con azienda e sindacati Fim, Fiom e Uilm, coadiuvati dai segretari generali confederali. Un tavolo fra sordi dall’esito scontato: nulla di fatto se non il ribadire le posizioni sideralmente opposte.

La faccia della delegazione Arcelor Mittal pareva essere abbattuta dagli sviluppi giudiziari. La neo ad Lucia Morselli – acciaccata e con un cerotto sotto l’occhio – ha però snocciolato con la solita nonchalance da esperta e rinomata «tagliatrice di teste» le ragioni giuridiche che portano gli indiani all’addio basato sulla cancellazione dello scudo penale – nella sua versione: dare la protezione a chi ci lavora» – e dall’impossibilità di operare sull’altoforno a causa della magistratura. «Noi riteniamo che ci siano le condizioni legali per il recesso. Il contratto può essere sciolto e stiamo agendo in coerenza», ha esordito forte dei pareri legali degli studi internazionali – Cleary Gottlieb in testa – che aveva già scritto l’accordo firmato da Di Maio e sindacati.

Morselli è poi passata ad attaccare magistratura tarantina e commissari Ilva. «Il piano ambientale è rispettoso dei tempi previsti, ma non è ancora nelle condizioni in cui dovrebbe arrivare nel 2023. Fino a qualche settimana fa questo non era un crimine, ora lo è», riferendosi alla scadenza del 13 dicembre imposta dalla magistratura per rimettere in sicurezza l’altoforno dopo la morte dell’operaio Alessandro Morriccella nel 2015.

Quanto ai commissari di Ilva, «quando l’Altoforno 2 ci è stato consegnato c’è stato detto che quel è stato chiesto dalla magistratura come migliorie era in corso e invece non era è stato fatto niente. L’area a caldo è in una situazione abbastanza criminale, perché adesso usiamo l’area a caldo danneggiamo l’ambiente ed è un crimine», ha chiuso in modo paradossale.

In tutta questa vicenda però gli 8mila lavoratori Taranto e gli altri 12mila non saranno parte passiva. «I lavoratori non spegneranno gli impianti dello stabilimento ex Ilva, non celebreranno il loro funerale – annuncia il segretario generale della Uilm ed ex operaio a Taranto Rocco Palombella – : ci sarà un’insubordinazione verso la proprietà».

* Fonte: Massimo Franchi, il manifesto

 

Foto: Pixabay CC0 Creative Commons

 



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