La Francia si blocca, lo sciopero test per Macron e i sindacati

La Francia si blocca, lo sciopero test per Macron e i sindacati

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PARIGI. Oggi si alza il “muro” dello sciopero “interprofessionale”, contro il quale il governo e la presidenza Macron rischiano di schiantarsi. Ferrovieri, trasporti, funzione pubblica, ospedali, scuole, i sindacati (Cgt, Fo, Solidaires, Unsa, Cfe, per la Cfdt solo i ferrovieri), tutti i partiti di sinistra, a cui si uniscono studenti e gilet gialli, persino i poliziotti minacciano chiusure di commissariati: 245 manifestazioni dichiarate in tutta la Francia, a Parigi un corteo da Gare du Nord a Nation, solo il 10% dei treni, 30% dei voli annullati, 11 linee del métro ferme solo nella capitale, molte scuole chiuse.

LA SCINTILLA che ha fatto divampare la protesta annunciata è la riforma delle pensioni, l’ennesima, ma che questa volta dovrebbe essere “sistemica”: passare dal sistema attuale, che conta 42 “regimi speciali” e un “regime generale” a un sistema unico, eguale per tutti, a punti, sul modello svedese. Ma attorno a questa protesta si è coagulato il malcontento di molte categorie, in particolare nella funzione pubblica ma non solo (protestano anche le infermiere libere professioniste e gli avvocati). La riforma a punti ha fatto da catalizzatore di tutte le angosce che attraversano la società francese. Dietro le pensioni, c’è il timore per i servizi pubblici, Macron è dipinto come un “Thatcher” del XXI secolo.

UNA “TRIBUNA” di 180 intellettuali difende la protesta: «La democrazia non deve avere più paura della popolazione». Un anno fa è iniziata la protesta dei gilet gialli, che ha messo il potere con le spalle al muro e obbligato a concedere un finanziamento di 17 miliardi. Mostrando così che “la lotta paga”. Oggi, forti di questa convinzione, tornano in piazza i sindacati, messi da parte da Macron e dai gilet gialli. Anche per loro sarà un test (il 62% della popolazione non ha più fiducia nelle organizzazioni sindacali).

Come due eserciti su un campo di battaglia, la vigilia gli schieramenti preparano la discesa in campo. Entrambi in attesa del verdetto, che è nelle mani dell’opinione pubblica: tutto dipenderà dalla reazione della popolazione, soprattutto se il paese resterà bloccato per giorni. Oggi il 76% dei francesi ammette che una riforma delle pensioni è necessaria (la speranza di vita aumenta, il rapporto attivi-pensionati è cambiato), ma il 64% non si fida di Macron per farlo. Nella testa di tutti c’è il 1995 e il lungo sciopero di più di tre settimane, che ha bloccato il paese e obbligato l’allora primo ministro, Alain Juppé (che è il “maestro” di Philippe) a ritirare la riforma delle pensioni (già allora erano rimessi in causa i regimi speciali). È stata la penultima vittoria della “piazza” in Francia contro un governo, poi c’è stato il 2006 e il ritiro del Cpe (contratto di prima assunzione per i giovani). Invece, tutte le altre grandi proteste sono state sconfitte.

MAI UN GIORNO di scioperi e manifestazioni è stato annunciato e discusso prima di aver luogo come quello di oggi. Tutto può succedere. I sindacati già pensano alla durata della protesta, che si estenderà a tutto il fine settimana, ma anche oltre: il giorno-chiave sarà lunedì, quando si vedrà se i trasporti ricominceranno a funzionare, le scuole a riaprire. Il governo fa il duro, dichiara che “non cederà” e prende tempo per rivelare i dettagli della riforma, che saranno comunicati verso metà mese. Il primo ministro, Edouard Philippe, si dice «più deciso che mai» ad attuare la riforma, ma contemporaneamente dichiara: «Sono aperto a discussioni» con i sindacati (che infatti continuano). Macron resta a Parigi, ha rinunciato ad andare a Madrid alla Cop25. Si gioca il suo futuro politico: «Voglio portare a termine la riforma, penso sia necessaria per il paese, quindi la difenderò». La destra sta a guardare, già accusa il governo di avanzare sulle riforme necessarie «a passo di lumaca» e chiede «servizi minimi» nei trasporti. L’estrema destra è nell’ambiguità, alcuni saranno in piazza, ma i sindacati non li vogliono.

La riforma a punti, paradossalmente, è un’idea che è nata da Terra Nova, un think tank socialdemocratico. La Cfdt la difende, ma di fronte alla confusione del governo sta prendendo le distanze. L’idea è che un euro di contributi dia diritto a un euro di pensione, per tutti, nel settore pubblico come nel privato. Oggi ci sono differenze, i “regimi speciali” permettono di andare in pensione prima dei 62 anni di tutti. Il Consiglio di orientamento delle pensioni afferma che il sistema sarà in deficit tra gli 8 e i 17 miliardi nel 2025 (già oggi per ferrovie e métro viene fatto ricorso ai contribuenti per colmare i buchi). Il governo denuncia una protesta “corporativa”. I sindacati ribattono: è giusto trattare allo stesso modo situazioni diverse? I dettagli sono ancora vaghi: quanto varrà il “punto”, chi lo deciderà? Quale sarà l’età della pensione? Tutti temono di ritrovarsi tra i “perdenti” del nuovo sistema: il governo ha aggiunto alla riforma “sistemica” anche quella che mira a rientrare dai deficit.

Oggi, a Parigi ci saranno 4mila poliziotti e 150 Brigate di repressione delle azioni violente, agenti in moto. Si temono i black bloc.

* Fonte: Anna Maria Merlo, il manifesto



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