L’eldorado finanziario che spacca l’Unione

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ATENE. È stato allievo del grande filosofo tedesco Herbert Marcuse, e negli anni ’70 ha combattuto assieme ai palestinesi. Era a Roma con altri compagni quando uscì il primo numero de Il Manifesto, ha lavorato per 12 anni all’ Institut fur Sozialforschung (Istituto di Ricerche Sociali), noto anche come Scuola Critica, dell’Università  di Francoforte. Zissis Papadimitriou, professore di sociologia politica e di scienze politiche all’Università  Aristotele di Salonicco dal 1985 fino al 2006 ha insegnato in vari paesi ed è autore, tra l’altro, di «Il razzismo europeo», diventato best seller in Grecia (ediz. Ellinika Grammata, 2000).

La crisi finanziaria greca è dovuta ai problemi strutturali dell’economia ellenica, alla sua burocrazia e alla corruzione – tutti elementi che hanno inciso sulla sua competitività  – oppure il disastro dei conti pubblici è stato causato dalla speculazione dei mercati?

Dalla caduta del regime dei colonnelli, negli anni ’70, fino ai nostri giorni, tutti i governi di Atene hanno usato i prestiti non per garantire il benessere, ma in realtà  per raccogliere dei voti in loro favore, per coltivare il loro bacino elettorale. Era inevitabile, quindi, che prima o poi questa politica suicida avrebbe provocato l’ ingigantimento del deficit e del debito pubblico. La crisi greca non è soltanto economica, ma anche sociale, nonché una crisi dei valori del sistema politico. Ci tengo inoltre a sottolineare che la rappresentazione da parte dei mass media di questa crisi come di un caso specificamente greco non corrisponde assolutamente alla realtà . La situazione attuale infatti riflette una crisi del capitalismo internazionale, che in Grecia si è manifestata con grande intensità , perché il paese costituisce l’anello debole della zona euro. I burocrati di Bruxelles, pur sapendo benissimo che questa crisi non può essere affrontata con misure improvvisate, continuano a far finta di niente, fedeli alla «mano lunga del mercato» di Adam Smith.
C’era un alternativa ai pacchetti di austerità  «lacrime e sangue» varati dal premier Papandreou? Il governo del Pasok poteva trovare soluzioni meno impopolari dei tagli a stipendi, pensioni e settore pubblico?
Il governo in carica non ha voluto toccare il capitale, che continua ad agire incontrollato, proprio nel momento in cui le conseguenze di questa crisi vengono fatte pagare ai lavoratori e ai pensionati, che in ogni caso costituiscono le vittime del sistema capitalistico, visto che all’orizzonte politico, né qui, né altrove esiste una resistenza organizzata delle masse. Alla mancanza di una forte opposizione contribuiscono varie forme di violenza simbolica, come la manipolazione delle coscienze tramite la tv, la moda e un divertimento privo di contenuti, che risultano molto più efficaci, per l’integrazione dell’individuo nel sistema, di quanto siano gli apparati di repressione violenta, che possono sempre dare luogo a una forte resistenza. Nel caso greco, lo «stile presidenziale» applicato da Jorgos Papandreou nell’esercizio della politica governativa e l’atteggiamento ambiguo delle leadership sindacali, che pensano prima di tutto alla loro sopravvivenza, contribuiscono alla rassegnazione dei greci, che vivono di speranze vane. A questo opportunismo dei sindacati si aggiunge poi la mancanza di un movimento serio delle sinistre capace di analizzare la situazione e di promuovere con prudenza le lotte quotidiane dei lavoratori. Perciò dopo l’estate, quando le conseguenze di questo programma «lacrime e sangue» saranno più evidenti, temo che la reazione della popolazione sarà  dura.
Quale sarebbe il nuovo soggetto sociale che potrebbe ribellarsi?
I precari, i migranti, oltre agli operai, la piccola borghesia e gli intellettuali colpiti dalla crisi.
Quali sono le sue cause della crisi nel resto dell’Europa?
La cosa apparentemente strana è che tutti prendono di mira i mercati e il capitale speculativo, ma quasi nessuno analizza le responsabilità  del capitalismo. E sarebbe improprio ricercare le cause di questa crisi nel settore finanziario. Il disastro è stato prodotto infatti dai problemi strutturali del sistema capitalistico e la crisi non tocca solo l’Unione europea, ma il mondo intero. Basta ricordare la tendenza al ribasso dei profitti nel settore della produzione, fin dalla fine degli anni ’60. Fu allora che l’ interesse dei grandi investitori e soprattutto dei banchieri cominciò a spostarsi gradualmente da settori produttivi a quello finanziario, avendo come obiettivo quello di guadagni veloci e garantiti. Lo spostamento di questo interesse degli investitori coincide con la sospensione dell’accordo di Bretton Woods, (l’accordo che, nel 1944, fissò regole per le relazioni commerciali e finanziarie del mondo industrializzato, ndr) e l’abolizione da parte del governo di Nixon della regola di convertibilità  del dollaro in oro. Le conseguenze sono ormai note. La libera circolazione dei capitali a livello internazionale, che ha fatto nascere l’inizio della famigerata «globalizzazione» delle strutture politiche ed economiche e la trasformazione delle nostre società  in «casino societies», in società  dominate dalle lotterie e dalle scommesse. Ogni giorno gli scambi economici ammontano a trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, ma tra tutta questa incredibile montagna di denaro soltanto l’8% rispecchia gli scambi commerciali. Il resto riguarda attività  speculative.
Quindi si potrebbe dire che la finanza non serve i bisogni sociali e domina sulla politica?
Certo. È proprio così. Il capitale speculativo domina sull’intero sistema politico anche in Europa, malgrado i tentativi di certi governi di controllare queste attività .
Lei ha vissuto e insegnato per tanti anni in Germania. Come giudica il ruolo di Berlino, considerata come la locomotiva economica e politica dell’Ue?
Per quanto riguarda il caso greco, gli insulti dei media tedeschi e di certi ministri contro Atene sono risultati davvero sopra le righe. La critica per il modo in cui si è comportato il nostro paese si basava su fatti reali, ma il grado dell’offensiva e il modo offensivo con il quale sono stati giudicati tutti i greci lascia molti interrogativi sul fatto che la società  tedesca abbia superato la sindrome della «razza suprema». La Germania odierna, a mio parere, sembra seguire una politica basata sul fondamentalismo finanziario, a scapito dei paesi europei economicamente più deboli. In più Berlino si rivolge a Mosca per soddisfare i suoi interessi nazionali.
La visione, quindi, di un’Europa politicamente unita, argomento tanto discusso negli anni ’90, oggi è un sogno svanito?
Per niente affatto. La visione di un’Europa unita con la Germania membro sullo stesso piano degli altri – non sotto il dominio germanico – continua ad essere punto di attrazione per i popoli europei. Purtroppo sotto la pressione della globalizzazione neoliberale, invece di promuovere l’idea dell’unità  politica dell’Europa, condizione necessaria per la convivenza dei popoli, l’Ue è diventata l’Eldorado del capitale finanziario sotto l’ombra degli Stati Uniti, che continuano a sabotare la prospettiva di un’Europa politicamente unita.

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8% SCAMBI COMMERCIALI
Questa la quantità  di attività  reali sul totale (trilioni di dollari) delle transazioni che avvengono ogni giorno sui mercati. Il resto? Solo speculazione


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