Il ruolo delle donne ai vertici delle associazioni? “Non predominante”

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ROMA – C’è un’assoluta prevalenza maschile nelle cariche dirigenziali delle associazioni medio-grandi italiane. Secondo una ricognizione condotta dall’Auser su 15 differenti realtà  dell’associazionismo (Altroconsumo, Anpas, Aido, Appc, Greenpeace, Lav, Legambiente, Wwf, Fai, Amnesty, Avis, Associazione nazionale magistrati, Lila, Emergency, Medici senza frontiere), il ruolo di presidente è ricoperto da una donna in 4 casi sui 15. Tra queste, il Fondo per l’ambiente italiano appare come l’unica associazione in cui il numero delle donne con incarichi di responsabilità  è predominante. Man mano che si scende dalla scala gerarchica, poi, si trova una massiccia presenza femminile (responsabili del personale o dello staff tecnico, incarichi negli uffici amministrativi). La ricognizione è parte integrante del percorso che ha portato l’Auser a realizzare l’indagine “Le quote rosa nel terzo settore. Le donne faticano a raggiungere i ruoli chiave”, che si presenta oggi a Roma al Centro Congressi delle carte geografiche.
La ricerca parte da un assunto di base: le pari opportunità , le discriminazioni, l’equità  di genere, non sono circoscritte al mondo lavorativo, e toccano anche l’impegno della donna nel terzo settore. Sostiene l’Auser: “Riflettere sul ruolo delle donne all’interno dell’associazionismo e sul loro apporto anche in termini di volontariato, è un modo per pensare al funzionamento delle organizzazioni nelle quali partecipano”.

C’è da dire che le ultime statistiche sul mondo del volontariato riportano questo “filtro di genere”. Ad esempio un quadro dettagliato, per quanto circoscritto ad alcune aree del Paese e con dati del 2008, lo fornisce la Fondazione Roma Terzo Settore (“Organizzazioni di volontariato tra identità  e processi”): ha riguardato le associazioni di 10 aree dell’Italia (province di Biella, Trento, Modena, Treviso, Rovigo, Venezia, Belluno, Taranto e Cosenza e la Regione Sardegna) ed è emerso che su 26.013 volontari sono le donne ad essere in maggioranza (51,2%), con alcune differenze territoriali: nella provincia di Cosenza la quota femminile è maggiore (58,5%), mentre nel biellese si ha quella minore (43,6%). Al contrario degli uomini, emerge un’età  più giovane delle donne che fanno volontariato, per quanto in generale siano gli ultra- 45enni i più partecipativi.

Anche se circostritti al territorio milanese, vanno in questa direzione anche i dati – sempre citati nel rapporto Auser – della Rete di orientamento al volontariato di Milano e provincia, il sistema di associazioni creato dal Centro servizi per il volontariato per la provincia di Milano. Insieme a 12 associazioni partner, la Rete ha individuato un profilo dell’aspirante volontario: “Donna, tra i 19 e i 54 anni, desiderosa di fare volontariato direttamente a contatto con quanti hanno dei problemi”. Fra i settori più “gettonati” si sono classificati ai primi posti il volontariato di assistenza, la cooperazione internazionale, l’ambiente e la disabilità . I dati raccolti dalla Rete sulle nuove leve del volontariato sono in linea con quelli dell’ultima Ricerca sul volontariato di Milano e provincia che parla di 25.228 donne già  attive su 45.326 volontari complessivi. Eppure, se la “quota rosa” del volontariato di Milano e provincia rappresenta il 55% del popolo del volontariato, la governance delle associazioni ancora non è donna: solo nel 32,2% delle associazioni mappate la carica del presidente è ricoperta da donne.
Secondo gli ultimi dati sulla vita quotidiana disponibili, diffusi dall’Istat (2010), la partecipazione femminile ad attività  gratuite di volontariato o a riunioni di associazioni culturali o ecologiche sia inferiore a quella maschile. Guardando esclusivamente al volontariato, le uniche fasce di età  in cui le donne sono “più partecipative” degli uomini sono quelle che vanno dai 14 ai 17 anni e dai 25 ai 44 anni. Sembra quindi che l’apporto femminile al sociale non sia così predominante. (ep)

 

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